Il Tribunale di Velletri con sentenza n. 4236/2021 ha revocato il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per la lavoratrice non sottoposta a vaccino Covid-19, precisando che non in tutti i casi la prestazione degli operatori di interesse sanitario non vaccinato è vietata, ma solo ove incida sulla salute pubblica e su adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza.
Nella fattispecie, la dipendente di una ASL era stata sospesa dal lavoro e dalla retribuzione per non essersi sottoposta alla somministrazione del vaccino anti Covid-19, pertanto conveniva innanzi al Tribunale di Velletri la ASL datrice di lavoro.
Di seguito i principi espressi dal Tribunale di Velletri con il provvedimento n. 4236/2021.
Il giudice di prime cure, in via preliminare, ha ricordato che l’art. 4 del D.L. 44/2021 ha introdotto l’obbligo vaccinale per tutti gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario al fine di tutelare la salute pubblica. Il medesimo articolo novellato dal D.L. 172/21, ha esteso l’obbligo di vaccinazione al personale che a qualsiasi titolo svolge la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all’art. 8-ter del D. Lgs. n. 502/1992 comprese le ASL.
Il Tribunale, richiamando la necessità di una lettura costituzionalmente orientata dell’assetto normativo, ha ritenuto che il divieto per il personale sanitario non vaccinato di svolgere attività lavorativa sussisterebbe solo qualora la prestazione pregiudichi la tutela della salute pubblica e incida su adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, altrimenti, “il bilanciamento costituzionalmente rilevante tra salute pubblica e i diritti della persona non sussisterebbe” e comprometterebbe i diritti dei singoli.
Peraltro, se in concreto la prestazione lavorativa dell’operatore di interesse sanitario, per i particolari compiti o per le modalità con cui si svolge, non si traduce in un effettivo rischio specifico e superiore rispetto a quello che corre un qualsiasi lavoratore di altri settori pubblici e privati, l’obbligo vaccinale e la conseguente sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, non trova alcuna giustificazione nell’ottica di un necessario bilanciamento costituzionale degli interessi ed anzi si tradurrebbe in una indebita discriminazione tra operatori di interesse sanitario e operatori di altri settori.
In particolare, il Tribunale opera una distinzione tra coloro che sono adibiti a mansioni amministrative – ancor di più se svolte secondo la modalità del lavoro agile – e coloro che sono in contatto con soggetti potenzialmente fragili.
Per i primi, essendo evidente la riduzione del rischio di contagio, si rivelerà necessario bilanciare gli interessi in gioco, privilegiando i diritti della persona in termini di dignità personale e professionale.
Nel caso di specie, l’Azienda convenuta aveva già adibito la dipendente a mansioni differenti in quanto non vaccinata, mostrando dunque la possibilità di una ricollocazione in sicurezza sia pure per una entità numerica limitata di lavoratori.
A conferma dell’assunto, il Tribunale richiama peraltro il novellato art. 4, comma 7, del D.L. 41/2021 che espressamente enuncia che per il “periodo in cui la vaccinazione è omessa o differita”, il datore di lavoro adibisce i lavoratori di cui al comma 2 a mansioni diverse, senza decurtare la retribuzione. Infatti, se l’interesse costituzionale è quello di tutela della salute pubblica, questa è messa a rischio tanto dal soggetto che non si è voluto vaccinare, quanto da quello che non si è potuto vaccinare, concludendo che entrambe le categorie di lavoratori possano prestare la loro opera ovviamente evitando lo specifico rischio per la salute pubblica.
Per tali motivi il Tribunale ha disposto la revoca del provvedimento di sospensione, ordinando alla ASL di adibire la lavoratrice a mansioni compatibili con l’esigenza di tutela della salute pubblica, disponendo altresì l’obbligo di corrisponderle la retribuzione.
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