Legittimo il licenziamento del soggetto disabile per superamento del periodo di comporto, se il lavoratore non comunica al datore di lavoro il suo status invalidante

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 8865/2021, richiamando precedenti giurisprudenziali, ha stabilito che non costituisce un’ipotesi di discriminazione indiretta il licenziamento del lavoratore disabile per superamento del periodo di comporto, quando il lavoratore sia stato comunque posto a svolgere mansioni compatibili con il suo stato di salute e quando questi non si sia comportato con un minimo di diligenza comunicando lo stato di invalidità al datore di lavoro, poiché in tali casi non vi sono norme e/o comportamenti che abbiano posto il lavoratore invalido in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altri lavoratori.

Nella fattispecie, un dipendente ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Roma Sez. Lavoro la Società datrice di lavoro al fine di ottenere la declaratoria di nullità del licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto in quanto discriminatorio e disposto in violazione dell’art. 7 D. Lgs. n. 119 del 2011 relativo al congedo per le cure dei soggetti invalidi.

La Società resistente, ritualmente costituitasi, ha chiesto il rigetto integrale del ricorso.

Il giudice di primo grado, ritenendo superflua qualsivoglia attività istruttoria, ha deciso con sentenza contestuale.

Secondo il ricorrente, la discriminazione indiretta non viene meno neppure in caso di mancata conoscenza da parte del datore di lavoro dello stato di disabilità del lavoratore e delle cause sottese alle sue assenze sussistendo, a norma dell’art. 2 della Direttiva 2000/78/CE,  ogniqualvolta il datore di lavoro ponga il soggetto disabile in una condizione di particolare svantaggio rispetto agli altri lavoratori normodotati.

Il giudice di prime cure ha respinto l’assunto, rilevando che, secondo quanto disposto nella Direttiva 2000/78/CE, la discriminazione indiretta viene meno laddove “a) le disposizioni siano giustificate da una finalità legittima ed i mezzi impiegati siano appropriati e necessari; b) l’ordinamento interno nazionale preveda meccanismi difensivi per il lavoratore disabile idonei ad evitare una discriminazione indiretta; c) il lavoratore non comunichi e documenti lo stato di disabilità o invalidità al datore di lavoro”.

A tal riguardo, il giudice ha richiamato alcune pronunce della Corte di Cassazione secondo le quali l’ipotesi di discriminazione indiretta si configura solo ove il datore di lavoro applichi un trattamento deteriore nei confronti del lavoratore, in ragione della sua appartenenza alla categoria protetta mentre, nel caso di superamento del periodo di comporto, “qualunque lavoratore sarebbe stato licenziato nella medesima situazione, che costituisce una condizione legittimante di natura generale”.

Il Tribunale ha respinto anche l’ulteriore tesi di parte ricorrente, in base alla quale “l’allungamento del periodo di comporto si imporrebbe perché il lavoratore disabile sarebbe esposto al rischio ulteriore di assenze dovute ad una malattia collegata alla sua disabilità”, argomentando che la stessa non è assolutamente valorizzata anche dalla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione che, proprio in tema di applicazione della Direttiva Europea 78/2000, ha confermato la decisione n. 3765/2016 della Corte di Appello di Roma che ha ritenuto non decisiva, ai fini della sussistenza di una discriminazione, l’assenza del lavoratore dovuta allo stato di disabilità.

E comunque, nel caso in esame, è risultato pacifico che il ricorrente sia stato sempre assegnato a mansioni compatibili con il suo stato di salute, potendosi dunque escludere che sia stato esposto al rischio ulteriore di assenze dovute a una malattia collegata alla sua disabilità rispetto agli altri lavoratori non disabili.

Dirimente è stata per converso considerata la mancata comunicazione dello stato di invalidità al datore di lavoro che, di conseguenza, non ha potuto adottare tutti gli accomodamenti ragionevoli necessari a prevenire qualsivoglia forma di discriminazione.

Il Tribunale, pur tenendo conto della condizione di disabilità del lavoratore, ha quindi sancito la legittimità del recesso per superamento del periodo di comporto, non ravvisando la sussistenza di comportamenti tali da porre il lavoratore invalido in una condizione di svantaggio rispetto agli altri dipendenti.

Per tali motivi il Tribunale, nel dichiarare legittimo il licenziamento, ha disposto il rigetto del ricorso compensando le spese di lite.

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