Come stabilito da una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (sent. n. 21888/2020), può essere considerato lecito il controllo sull’attività del lavoratore effettuato dal datore di lavoro.
Le vicende sulla base delle quali la Cassazione ha emesso questa decisione prendevano le mosse dal ricorso presentato da un dipendente con riferimento alla sanzione ricevuta a causa della scarsa diligenza e della inosservanza degli obblighi e doveri di servizio nello svolgimento della propria attività.
Tale ricorso veniva rigettato sia in primo che in secondo grado, venendo riconosciuta dal Tribunale la sussistenza delle motivazioni poste alla base della sanzione e quindi la legittimità della stessa e per questo motivo il lavoratore ricorreva in Cassazione.
In questa sede il lavoratore sosteneva che la legittimità dei controlli effettuati dal datore fosse subordinata alla condizione che fossero resi noti i nomi di chi eseguiva i controlli e che questi ultimi non avvenissero mai a distanza, come invece era accaduto nel caso in esame. Secondo il dipendente, infatti, il controllo a distanza poteva essere considerato lecito solo se giustificato da esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale (art. 4, d.lgs. n. 151/2015), non riscontrandosi tali esigenze nel caso in specie.
La Corte di Cassazione si è pronunciata sostenendo che i controlli eseguiti dal datore potevano essere considerati legittimi. Innanzitutto, questi non potevano essere considerati come controlli a distanza, ma erano stati svolti attraverso l’organizzazione gerarchica della società che fa a lui riferimento e che è conosciuta dai dipendenti, motivo per cui non era necessaria la comunicazione dei nominativi dei soggetti che avrebbero eseguito i controlli. Questi ultimi erano individuati tra persone differenti rispetto alle guardie giurate, legittimate a verificare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti al fine di tutelare il patrimonio aziendale e vigilare sull’attività lavorativa.
Inoltre, la Corte di Cassazione rileva come i presupposti utili alla realizzazione di tali controlli, indicati dal dipendente tramite un richiamo all’ art. 4, d.lgs. n. 151/2015 (esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale) non potevano essere considerati necessari nel caso in oggetto, in quanto questa situazione rientrava in diversa fattispecie disciplinata da diverse norme (artt. 2 e 3, l. 300/1970). Secondo queste disposizioni gli unici presupposti sulla base dei quali potevano essere effettuati i controlli del datore erano l’esigenza di tutela del patrimonio aziendale e la vigilanza dell’attività lavorativa, entrambi riscontrabili nel caso specifico.
In aggiunta a ciò, la Corte ha sottolineato la posizione del lavoratore il quale aveva attuato in questo senso una condotta non palesemente inadempiente rispetto ai propri doveri, motivo per cui i controlli effettuati dal datore potevano essere considerati leciti e non contrari ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti.
Per questi motivi è stata ritenuta legittima la sanzione irrogata dal datore di lavoro ed è stato quindi respinto il ricorso proposto dal dipendente.
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