Con la sentenza n. 15660 del 12 giugno 2025, la Corte di Cassazione chiarisce il significato di “giornate di lavoro effettivo” ai fini dell’accesso alla NASpI, sancendo un principio di grande rilievo per la tutela dei lavoratori disoccupati.
In particolare, viene affermato che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 22/2015, non devono intendersi come “effettive” solo le giornate di prestazione materiale dell’attività lavorativa, ma anche quelle in cui il lavoratore ha diritto alla retribuzione e per le quali è stata versata la contribuzione.
Nel caso in esame, l’INPS aveva negato il riconoscimento dell’indennità NASpI sostenendo che il lavoratore non avesse maturato le trenta giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi antecedenti la disoccupazione. Tuttavia, il lavoratore aveva fruito di periodi retribuiti relativi a ferie non godute, festività e riposi maturati, pur senza svolgere attività lavorativa concreta.
La Corte d’Appello di Torino aveva accolto la sua domanda, ritenendo che anche tali giornate fossero computabili.
La Suprema Corte ha confermato questa impostazione, sottolineando che il concetto di “lavoro effettivo” va inteso in senso giuridico e non solo naturalistico: è “effettiva” la giornata in cui persiste il sinallagma contrattuale tra prestazione e controprestazione, quindi quando il lavoratore ha comunque diritto alla retribuzione e questa è soggetta a contribuzione.
Come chiarito in motivazione, «la prestazione di lavoro va considerata “effettiva” non solo nel momento in cui è concretamente eseguita, ma anche durante le sue pause fisiologiche, dal momento che, in tali ipotesi, il sinallagma contrattuale resta inalterato nella sua concreta funzionalità, tanto che non vi è interruzione né dell’obbligazione retributiva né di quella contributiva».
È interessante il ragionamento costituzionale seguito dalla Corte: una diversa lettura della norma, che escluda ferie e giornate retribuite non lavorate, si porrebbe in contrasto con l’art. 38 Cost., giacché penalizzerebbe il lavoratore per l’esercizio legittimo di diritti – come la fruizione di ferie o festività – o addirittura per comportamenti imputabili esclusivamente al datore (come il mancato reintegro dopo un ordine giudiziale).
Al tempo stesso, i giudici chiariscono che vanno escluse (ossia “neutralizzate”) dal computo le giornate di sospensione effettiva del rapporto di lavoro, cioè quelle in cui le reciproche prestazioni sono interrotte per legge, come maternità, malattia, infortunio, cassa integrazione, permessi ex L. 104 o contratti di solidarietà a zero ore.
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