Con ordinanza n. 21621 del 28/07/2021, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’accertamento in ordine alla intollerabilità delle emissioni acustiche non deve essere necessariamente condotto da un esperto, in quanto i rumori, se discontinui e spontanei, non sono riproducibili e verificabili su un piano sperimentale.
Nel caso di specie, tre soggetti, adito il Tribunale di Velletri, avanzavano domanda al fine di far cessare le emissioni acustiche provenienti da diversi animali presenti sul fondo confinante dei convenuti.
Il giudice, vista la rimozione degli animali nel frattempo intercorsa, dichiarava cessata la materia del contendere e rigettava le ulteriori domande risarcitorie.
Gli attori impugnavano la sentenza di primo grado innanzi alla Corte di Appello di Roma, cui resistevano i convenuti con appello incidentale.
La Corte accoglieva l’appello principale, condannando i proprietari del fondo confinante al pagamento di un risarcimento per ciascuno degli attori. Confermava, inoltre, la cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di eliminazione delle emissioni acustiche, stante la rimozione degli animali dal fondo. Proprio per tale ragione, la Corte asseriva che “non era stato possibile esperire una consulenza tecnica utile al fine di verificare il rispetto dei limiti di tollerabilità delle immissioni”. Sul punto, osservava che si era potuti comunque giungere ad una valutazione favorevole per gli attori, poiché erano emersi in giudizio elementi a conforto di tale apprezzamento. Questi ultimi si identificavano nei diversi atti di diffida provenienti dal Comune e dalla ASL, dai quali emergeva la presenza sul fondo di numerosi animali. Tali elementi consentivano di valutare il superamento del livello di tollerabilità delle emissioni.
A fronte del rigetto dell’appello incidentale, gli appellati proponevano ricorso in Cassazione.
Sul punto, la Corte, nel richiamare la pronuncia di secondo grado, ha ribadito che “i parametri stabiliti dalle leggi speciali a tutela dell’ambiente (…) pur potendo essere considerati come criteri minimali inderogabili, al fine di stabilire l’intollerabilità delle emissioni che li superino, non sono sempre vincolanti per il giudice civile”. Quest’ultimo, infatti, tenendo conto dei criteri fissati dalla norma civilistica e delle peculiarità della situazione, ben può giungere ad un prudente apprezzamento nel merito, anche senza l’ausilio di un perito se le circostanze di fatto non ne consentano l’intervento. Ha inoltre evidenziato che, nonostante l’apprezzabile comportamento dei proprietari del fondo confinante rivolto alla eliminazione delle emissioni acustiche, non deve essere preclusa agli attori la possibilità di ricevere il risarcimento del danno subito, sussistendo elementi di prova tali da dimostrare che le emissioni abbiano generato, per le loro caratteristiche, il diritto al ristoro del pregiudizio subito.
La Suprema Corte si è dunque focalizzata sui profili del risarcimento del danno che, nel caso di specie, rientra nello schema previsto dall’art. 2043 c.c. e più specificamente in quello dell’art. 2059 c.c. relativo al risarcimento del danno non patrimoniale. Quest’ultimo secondo giurisprudenza consolidata, è risarcibile anche quando non vi sia danno biologico, se però sia riferibile alla lesione del “diritto al normale svolgimento della propria vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
La Corte ha disposto, dunque, il rigetto del ricorso, confermando la sentenza pronunciata nella fase di appello.
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