Disciplina dell’impresa familiare applicabile anche al convivente di fatto

Il 25 luglio 2024 è stata depositata una sentenza della Corte Costituzionale (n. 148/2024) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 230-bis, terzo comma, del codice civile nella parte in cui non includeva il «convivente di fatto» tra i familiari e, di conseguenza, non considerava l’impresa familiare quella cui collabora il convivente di fatto. Inoltre, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 230-ter del codice civile, introdotto dalla legge n. 76 del 2016, che riconosceva al convivente di fatto una tutela significativamente ridotta rispetto ai familiari.

Il caso esaminato dalla Corte trae origine dal ricorso presentato dalla convivente di un uomo deceduto, la quale chiedeva l’accertamento dell’esistenza di un’impresa familiare relativa a un’azienda agricola, con la conseguente liquidazione della sua quota. La donna aveva collaborato all’azienda dal 2004 al 2012, ma il Tribunale di Fermo e la Corte d’Appello di Ancona avevano rigettato la domanda basandosi sull’interpretazione restrittiva dell’articolo 230-bis del codice civile, che non considerava il convivente di fatto come familiare.

La donna ha successivamente proposto ricorso in Cassazione, evidenziando la necessità di considerare le mutate sensibilità sociali riguardanti le convivenze more uxorio e le aperture giurisprudenziali in merito.

La Sezione lavoro della Suprema Corte ha riconosciuto i “concreti dubbi” di legittimità costituzionale della norma e ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale ha sottolineato che la definizione di «conviventi di fatto», come stabilito dall’articolo 1, comma 36, della legge Cirinnà, comprende «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale». Alla luce di questa definizione, la Corte ha riconosciuto l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha conferito piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto, seppure con differenze rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio.

La Corte ha rilevato che i diritti fondamentali, come il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, devono essere riconosciuti a tutti senza distinzione. Pertanto, nel contesto di un’impresa familiare, anche il convivente di fatto deve ricevere uguale tutela. Escludere il convivente di fatto dall’articolo 230-bis del codice civile avrebbe significato attrarre la prestazione lavorativa nell’ambito del lavoro gratuito, in violazione dei principi costituzionali che tutelano la dignità del lavoro.

La sentenza n. 148/2024 ha ampliato la tutela prevista dall’articolo 230-bis del codice civile al convivente di fatto, comportando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 230-ter, che attribuiva una tutela ridotta non comprensiva del riconoscimento del lavoro nella famiglia, del diritto al mantenimento e dei diritti partecipativi nella gestione dell’impresa familiare.

Questa decisione rappresenta un passo significativo verso una maggiore equità e riconoscimento dei diritti delle coppie conviventi, in linea con l’evoluzione delle sensibilità sociali e giurisprudenziali.

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