Gli accertamenti del datore di lavoro riguardanti l’attività lavorativa del dipendente svolta anche al di fuori dell’azienda, tramite le agenzie investigative, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o arrecare fonti di danno per il datore medesimo.
Il 2 agosto 2024, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha emesso l’ordinanza n. 21766, confermando la legittimità di un licenziamento per giusta causa avvenuto in seguito a un’indagine investigativa condotta dal datore di lavoro.
Il caso ha avuto inizio quando un dipendente dell’azienda Haupt Pharma Latina S.r.l., A.A., è stato licenziato per giusta causa a seguito di una serie di accertamenti investigativi. Infatti, durante un periodo di assenza dal lavoro per malattia, il lavoratore è stato accusato di aver svolto attività incompatibili con la condizione di salute dichiarata nei certificati medici.
L’azienda, avendo riscontrato la discrepanza tra le attività del lavoratore e lo stato di malattia dichiarato, ha ritenuto che tale comportamento fosse sufficiente per giustificare il licenziamento per giusta causa, considerandolo una violazione dei doveri di correttezza e buona fede contrattuali.
Il dipendente ha contestato il licenziamento, sostenendo che gli accertamenti investigativi disposti dall’azienda violassero le norme dello Statuto dei Lavoratori, in particolare gli articoli 3 e 5, che riservano esclusivamente agli Istituti di diritto pubblico il controllo dell’idoneità fisica dei lavoratori. Inoltre, il dipendente ha affermato che il comportamento contestato non era sufficientemente grave da giustificare un licenziamento, chiedendo l’applicazione di sanzioni disciplinari meno severe.
La Corte d’Appello di Roma aveva già confermato la legittimità del licenziamento, rilevando che gli accertamenti investigativi non avevano finalità sanitarie, ma miravano semplicemente a verificare se le attività svolte dal dipendente fossero compatibili con la malattia dichiarata. In questa prospettiva, la Corte d’Appello aveva ritenuto legittimo il licenziamento, ritenendo che il comportamento del lavoratore violasse i principi di correttezza e buona fede previsti dal contratto di lavoro.
Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su due principali motivi: la violazione degli articoli 3 e 5 dello Statuto dei Lavoratori e la violazione delle norme contrattuali e del Codice Civile relative alla giusta causa di licenziamento.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello di Roma. I giudici della Suprema Corte hanno sottolineato che gli accertamenti investigativi disposti dall’azienda erano legittimi poiché non miravano a verificare l’idoneità fisica del dipendente – competenza riservata agli Istituti di diritto pubblico – ma a stabilire se le attività extralavorative fossero compatibili con lo stato di malattia dichiarato.
La Corte ha precisato che l’articolo 5 dello Statuto dei Lavoratori non impedisce al datore di lavoro di procedere a indagini mirate a verificare fatti che possano dimostrare l’insussistenza della malattia o la sua inidoneità a giustificare l’assenza dal lavoro.
Inoltre, la Cassazione ha ritenuto che il comportamento del dipendente, consistente nel non aver comunicato al datore di lavoro il recupero anticipato delle proprie abilità, costituisse una violazione degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, giustificando così il licenziamento per giusta causa.
La Suprema Corte ha respinto anche la tesi secondo cui il fatto non avrebbe dovuto comportare il licenziamento, rilevando che la gravità della condotta, valutata in relazione agli obblighi contrattuali e disciplinari, era tale da legittimare la decisione dell’azienda.
Questa sentenza della Corte di Cassazione rappresenta un precedente rilevante in materia di licenziamento per giusta causa, ribadendo che i datori di lavoro possono legittimamente avvalersi di indagini private per verificare la compatibilità tra le attività extralavorative dei dipendenti e le condizioni di salute dichiarate, altresì sottolineando l’importanza della trasparenza e della buona fede da parte dei lavoratori nel rapporto di lavoro, specialmente in situazioni di assenza per malattia.
Ancora una volta, la pronuncia della Suprema Corte conferma la necessità per datori e lavoratori di rispettare scrupolosamente i doveri contrattuali e le normative vigenti al fine di evitare conseguenze disciplinari gravi.
Foto di Karolina Kaboompics da Pexels