Con l’ordinanza n. 23330 del 29 agosto 2024, la Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, ha affrontato un caso rilevante in tema di risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla riduzione della capacità lavorativa specifica di un lavoratore autonomo. La questione in esame riguarda la corretta quantificazione del reddito da prendere in considerazione per il calcolo del risarcimento in caso di danno da incidente stradale.
Il lavoratore aveva subito un grave incidente stradale nel 2011 e aveva convenuto in giudizio il responsabile del sinistro e la sua compagnia assicurativa, Milano Assicurazioni Spa (ora Unipolsai Assicurazioni Spa), insieme alla società Ortofrutticola D.D. S.r.l., richiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall’incidente. In particolare, aveva chiesto il risarcimento del danno patrimoniale correlato alla riduzione della sua capacità lavorativa specifica, essendo titolare di un’impresa individuale di rivendita di frutta e verdura.
Il Tribunale di Lecce aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, ma aveva negato quello patrimoniale. A seguito di impugnazione, la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza del 2021, aveva parzialmente riformato la decisione di primo grado, riconoscendo al lavoratore un risarcimento di 18.900 euro per il danno patrimoniale subito. Tuttavia, tale somma era stata determinata considerando il reddito lordo d’impresa dichiarato dal lavoratore nelle sue dichiarazioni fiscali.
Il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione contestando il metodo utilizzato dalla Corte d’Appello per quantificare il danno patrimoniale, sostenendo che il reddito lordo d’impresa utilizzato come base per il calcolo del danno non riflettesse il reale reddito conseguito dalla sua attività. Il ricorrente ha infatti affermato che la cifra utilizzata per la quantificazione includeva una componente fittizia, rappresentata dall’adeguamento a “Parametri e studi di settore,” che non avrebbe dovuto essere considerata ai fini della determinazione del risarcimento.
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe dovuto detrarre dal reddito lordo le somme corrispondenti a tali adeguamenti fiscali, poiché questi non riflettono un reddito effettivo, ma una maggiorazione fittizia calcolata dall’erario per finalità tributarie. Il ricorso ha dunque sollevato la questione della corretta interpretazione e applicazione dell’articolo 1223 del codice civile, che disciplina la determinazione del danno risarcibile.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, affermando che la Corte d’Appello aveva correttamente applicato i criteri previsti dalla legge per la quantificazione del danno patrimoniale. La Suprema Corte ha sottolineato che, ai fini della determinazione del risarcimento per la riduzione della capacità lavorativa specifica, occorre fare riferimento al reddito dichiarato ai fini fiscali, compreso quello risultante dall’adeguamento agli studi di settore.
Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, il reddito da considerare per il calcolo del danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa deve essere quello dichiarato ai fini dell’imposta sul reddito, indipendentemente dal fatto che includa o meno componenti fittizie come gli adeguamenti agli studi di settore. La Corte ha richiamato precedenti sentenze secondo cui, per i lavoratori autonomi, il reddito rilevante ai fini del risarcimento è quello lordo dichiarato, e non è possibile detrarre ulteriori componenti fittizie o “non reali”.
La Corte ha inoltre precisato che, se il ricorrente avesse ritenuto non applicabili tali adeguamenti, avrebbe potuto giustificare la loro esclusione in sede fiscale. Tuttavia, avendo inserito tali somme nelle sue dichiarazioni fiscali, il ricorrente non poteva successivamente contestare la loro inclusione nel calcolo del danno patrimoniale da risarcire.
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