Licenziamento legittimo se il lavoratore comunica la malattia solo via WhatsApp

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 26956 del 7 ottobre 2025 ha confermato la legittimità del licenziamento di un dipendente che, pur sostenendo di essere gravemente malato, aveva comunicato il proprio stato di salute al datore di lavoro solo tramite messaggi WhatsApp, senza fornire alcuna certificazione medica ufficiale.

Il lavoratore, assente dal servizio per un lungo periodo, aveva oltrepassato il limite massimo previsto dal periodo di comporto. L’azienda, accertato il superamento, aveva quindi disposto il recesso.

Il dipendente aveva contestato la decisione, ritenendola ingiustificata in quanto riconducibile a una malattia grave, di cui – a suo dire – il datore era stato informato attraverso conversazioni informali su WhatsApp.

La Cassazione ha respinto il ricorso, ribadendo: “Le comunicazioni informali trasmesse tramite applicazioni di messaggistica istantanea non possono sostituire la certificazione medica prescritta dalla contrattazione collettiva e dalla normativa di riferimento.”

In altre parole, un messaggio WhatsApp non è idoneo a provare l’esistenza, la gravità o la durata di una malattia, né può essere considerato un mezzo idoneo a giustificare l’assenza dal lavoro.
Il certificato medico è l’unico strumento che consente al datore di lavoro di verificare ufficialmente lo stato di malattia, i tempi di prognosi e la compatibilità con l’attività lavorativa.

La Corte ha inoltre sottolineato che: “Non può ritenersi che la comunicazione informale valga quale prova dell’adempimento dell’obbligo di certificazione, poiché ciò comporterebbe un aggiramento delle regole poste a tutela della certezza giuridica e della parità di trattamento tra lavoratori.”

Come approfondito in precedenti articoli, il periodo di comporto (art. 2110 c.c.) rappresenta il limite massimo entro il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di malattia o infortunio. Decorso tale termine, il datore può legittimamente procedere al licenziamento.

Nel caso esaminato, il lavoratore aveva superato ampiamente il periodo previsto dal CCNL applicabile; pertanto, la Cassazione ha ritenuto che il comportamento dell’azienda fosse conforme a legge e contratto, non essendo ravvisabile alcuna violazione dei principi di correttezza e buona fede.

La sentenza riafferma un concetto essenziale per i rapporti di lavoro nell’era digitale: “La semplificazione comunicativa offerta dai nuovi strumenti tecnologici non può tradursi in un abbassamento delle garanzie formali e sostanziali previste dall’ordinamento.”

Dunque, le chat e i messaggi possono assumere rilievo solo come indizi del rapporto tra le parti, ma non sostituiscono gli adempimenti formali previsti per la certificazione dello stato di malattia, né consentono di eludere gli obblighi di comunicazione imposti al lavoratore.

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