Causa per demansionamento proponibile anche a rapporto terminato

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Con l’ordinanza n. 17586 del 26 giugno 2024, la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, ha ribadito un principio fondamentale in materia di demansionamento: l’interesse ad agire in una causa per demansionamento permane anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

Nel caso di specie, il ricorrente era stato impiegato presso la società datrice di lavoro con mansioni di operaio metalmeccanico di IV livello. A seguito di un infortunio sul lavoro, che gli aveva causato un’invalidità permanente del 18%, era stato demansionato a compiti meno qualificati e fisicamente gravosi.

Sentendosi leso nei suoi diritti, il lavoratore aveva inizialmente adito il Tribunale di Ivrea, chiedendo il riconoscimento dell’illegittimità del demansionamento e la sua reintegrazione nelle mansioni originarie o in altre equivalenti.

Il Tribunale e successivamente la Corte d’Appello di Torino rigettarono le richieste del lavoratore, affermando che non vi fosse un concreto interesse ad agire poiché il lavoratore non aveva richiesto il risarcimento dei danni.

Dopo la morte del lavoratore, il figlio, subentrato come unico erede, proseguì il contenzioso ricorrendo in Cassazione.

In sintesi, la Suprema Corte ha stabilito che l’interesse ad agire non si esaurisce con la cessazione del rapporto di lavoro, ma persiste anche quando la prestazione richiesta non è più attuabile. La Corte ha ribadito che l’accertamento della illegittimità del demansionamento non è solo funzionale alla richiesta di reintegrazione, ma può costituire un presupposto per eventuali azioni risarcitorie.

Alla luce di tali motivazioni la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso presentato dall’erede, ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Torino.

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di alcuni principi chiave:

  • Interesse ad agire: La Corte ha sottolineato che l’interesse ad agire deve essere valutato non solo al momento dell’azione, ma anche durante il corso del processo. Anche se la prestazione di reintegro non è più possibile, il lavoratore ha comunque diritto a vedere accertata l’illegittimità della condotta datoriale.
  • Demansionamento e risarcimento: La Corte ha chiarito che il lavoratore ha diritto ad ottenere un accertamento che può servire da base per future richieste risarcitorie, indipendentemente dalla possibilità di reintegro.
  • Economia processuale: Un ulteriore elemento di rilievo è il principio dell’economia processuale. La Corte ha evidenziato come l’accertamento dell’illegittimità del demansionamento, anche in assenza di una domanda di risarcimento per equivalente, possa prevenire un secondo processo, risparmiando risorse giudiziarie e assicurando un rapido accesso alla giustizia.

Questa decisione comporta importanti implicazioni per la giurisprudenza italiana sul lavoro. Essa non solo conferma la protezione dei diritti dei lavoratori anche oltre la cessazione del rapporto di lavoro, ma garantisce anche la possibilità di ottenere un riconoscimento giudiziario della violazione subita, utile per eventuali successive azioni legali.

Questo principio non solo protegge i lavoratori da condotte illecite, ma assicura anche la possibilità di ottenere giustizia e riconoscimento dei propri diritti, indipendentemente dall’evolversi delle circostanze.

Foto di Andrea Piacquadio da Pexels