È discriminatoria la previsione di un requisito di altezza identico per uomini e donne

Il principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 della Costituzione, non solo prevede che i cittadini sono eguali davanti alla legge, ma afferma anche che cittadini che versano in condizioni diverse devono essere trattati in modo diverso; infatti, qualora si prevedessero condizioni e requisiti del tutto omogenei per tutti i cittadini, gli individui svantaggiati si ritroverebbero a dover affrontare ostacoli impeditivi del pieno sviluppo della loro personalità. D’altronde, ai sensi dello stesso art. 3 della Costituzione, la Repubblica si impone di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Una disposizione che pone in modo del tutto ingiustificato un soggetto in posizione di svantaggio rispetto ad un altro contrasta, dunque, con il principio costituzionale di eguaglianza, costituendo una discriminazione.

Peraltro, non è necessario che un atto o un comportamento siano manifestamente discriminatori affinché vengano considerati illegittimi: l’art. 25 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna distingue, infatti, tra discriminazione diretta e indiretta. Quest’ultima si produce quando una disposizione apparentemente non discriminatoria pone i lavoratori di un determinato sesso in posizione di svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso.

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su una particolare ipotesi di discriminazione indiretta: una lavoratrice, interessata all’assunzione nella posizione di capo treno, era stata esclusa dalla procedura di selezione per difetto del requisito minimo di altezza, stabilito in 1.60 mt sia per gli uomini che per le donne.  

La Cassazione, con ordinanza n. 18522 del 28/06/2023, e sulla base di numerosi precedenti, ritiene che la previsione di una statura minima identica sia per gli uomini che per le donne contrasti con il principio di uguaglianza, poiché non tiene conto del fatto che, in media, uomini e donne hanno una statura differente. Una previsione del genere avrebbe potuto essere legittima qualora fosse stata funzionale rispetto alle mansioni da svolgere; nel caso di specie, una statura minima non era necessaria ai fini del ruolo che la lavoratrice avrebbe svolto.

La società datrice di lavoro sosteneva, d’altro canto, di aver rispettato le indicazioni vincolanti dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie in materia di altezza. La Cassazione replica, tuttavia, che la discriminazione opera obiettivamente, dunque esclusivamente in ragione del fatto che il soggetto viene posto in condizioni di svantaggio, a prescindere dall’intenzione dell’autore di discriminarlo o meno; d’altronde, la discriminazione indiretta si produce proprio quando si agisce nel rispetto di una disposizione in astratto legittima.

La Cassazione conferma, dunque, le decisioni dei giudici di primo e secondo grado che, valutata l’assenza di proporzionalità e funzionalità del requisito di altezza minima rispetto alle mansioni da svolgere, avevano disapplicato la norma discriminatoria.

Foto di Ann H