LA COLPEVOLE RITARDATA GUARIGIONE È GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO: LO DICE LA CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE LAVORO

La pronuncia della Corte di Cassazione valuta l’incidenza delle condotte extra lavorative sul rapporto di lavoro.

Il recesso per giusta causa dal rapporto di lavoro comporta, ai sensi dell’articolo 2119, 1° comma c.c., la possibilità per entrambi i contraenti di recedere dal contratto di lavoro, qualora si verifichi una circostanza che non permetta la prosecuzione del rapporto stesso.

Tale causa di recesso può derivare sia da condotte realizzate sul luogo di lavoro, sia da comportamenti attinenti all’ambito extra lavorativo.

La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata recentemente in merito al secondo caso, con l’ordinanza n. 18245/2020, che ha considerato legittimo il licenziamento a fronte di una condotta che leda i doveri e gli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, sanciti specificamente dagli articoli 2104 e 2105 del codice civile.

Nella fattispecie in esame, il dipendente era assente dal lavoro per motivi di salute legati ad una dermatite alle mani; tuttavia, durante il periodo di malattia, lo stesso si dedicava alle mansioni, soprattutto di lavaggio e asciugatura delle stoviglie, nonché di preparazione di bevande calde esponendosi, pertanto a fonti calore, nel bar-pasticceria della moglie. Mansioni, invero, fortemente sconsigliate per la guarigione della dermatite acuta.

In merito al caso di specie, è interessante rilevare alcuni aspetti evidenziati nell’ordinanza, tra cui quello relativo alla compatibilità di una prestazione extra lavorativa presso terzi, in stato di malattia (quale la dermatite) accertato tramite certificato medico, con il rispetto dei doveri ed obblighi del prestatore di lavoro nei confronti del datore di lavoro; quello relativo al principio di immutabilità della contestazione disciplinare; nonché, da ultimo, il profilo dell’onere probatorio.

Quanto al primo aspetto, la Suprema Corte ha confermato alcuni orientamenti giurisprudenziali precedenti (cfr. Cass. 7 giugno 1995 n.6399) basati sul principio per cui lo svolgimento di un’attività extra lavorativa, in condizione di malattia, costituisca una grave violazione degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, se il lavoratore ritardi colpevolmente il recupero dell’idoneità al lavoro, ritenendo, pertanto, legittimo il recesso del datore di lavoro.

Quanto al secondo aspetto, il datore di lavoro può recedere dal contratto solo ove ci sia corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a motivo della sanzione disciplinare. Nel caso di specie, l’addebito non era volto a contestare la mancanza di giustificazione dell’assenza, quanto piuttosto a sanzionare la consapevole sottrazione del lavoratore all’obbligo della prestazione lavorativa.

In merito al terzo ed ultimo profilo, la Corte di Cassazione ha precisato come, normalmente, in materia di recesso per giusta causa, spetti al datore di lavoro provare lo svolgimento di un’attività extra lavorativa, in stato di malattia, che possa ledere gli obblighi di correttezza e buona fede, nonché ritardare la ripresa della prestazione lavorativa. Tuttavia, è necessario che il giudice consideri, in ogni caso, tutto il materiale probatorio acquisito, tra cui la testimonianza dei soggetti citati in tale veste. (cfr. Cass. 25 settembre 2013 n. 21909).

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