Lavoro straordinario: quando il consenso del datore di lavoro è determinante

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4984 del 26 febbraio 2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di lavoro straordinario nel pubblico impiego: affinché il dipendente abbia diritto alla relativa retribuzione, è necessario che il datore di lavoro abbia prestato il proprio consenso, anche in forma implicita. Tale pronuncia si inserisce in un quadro giurisprudenziale che riconosce il diritto del lavoratore alla giusta retribuzione, ma ne subordina la spettanza a un’effettiva volontà datoriale.

Il caso trae origine dalla richiesta di un lavoratore di ottenere il pagamento di ore di straordinario svolte nel periodo dal 2015 al 2020. Il Tribunale di Foggia aveva parzialmente accolto la domanda, riconoscendo una somma a titolo di retribuzione straordinaria, mentre la Corte d’Appello di Bari aveva confermato la decisione, rigettando sia l’impugnazione del lavoratore, che richiedeva un ulteriore risarcimento, sia quella del datore di lavoro, che contestava il diritto al compenso.

Giunto in Cassazione, il caso si è focalizzato sulla questione della necessità di un’autorizzazione formale per il riconoscimento dello straordinario. La pubblica amministrazione datrice di lavoro ha sostenuto che la pretesa del lavoratore fosse infondata, poiché mancava una preventiva autorizzazione esplicita allo svolgimento del lavoro extra.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, nel pubblico impiego contrattualizzato il compenso per lavoro straordinario è subordinato alla previa autorizzazione dell’amministrazione, necessaria per verificare sia l’interesse pubblico alla prestazione sia la compatibilità della spesa con il bilancio.

Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che tale principio non è assoluto.

La Corte ha infatti richiamato una sua recente pronuncia secondo cui, nel pubblico impiego, il lavoro straordinario va retribuito se svolto con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformare la prestazione. Ha così affermato: “Quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o di chi ne abbia il potere, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica.”

Ne consegue che, se il datore di lavoro era a conoscenza della prestazione e non l’ha impedita, il lavoratore ha diritto al compenso per le ore extra svolte, indipendentemente dall’eventuale assenza di autorizzazione formale. L’unico limite a tale principio riguarda le eventuali responsabilità contabili che potrebbero derivare in capo ai funzionari pubblici che abbiano consentito il lavoro straordinario senza il rispetto delle regole sulla spesa pubblica.

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