Le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice madre devono essere sempre convalidate

Al fine di tutelare la lavoratrice durante una fase particolare della propria vita, condizionante da un punto di vista psico-fisico ed emotivo, nonché caratterizzata da un repentino mutamento di abitudini, il D.Lgs. 151/2001 (Testo unico sulla maternità e paternità) prevede una serie di disposizioni in materia di recesso.

Infatti, dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età da parte del bambino, la lavoratrice madre non può essere licenziata; al contempo, ai sensi dell’art. 55 del Testo Unico, le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice durante lo stesso periodo, affinché siano efficaci, dovranno essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata sull’interpretazione da attribuire a tale disposizione: nell’ambito di una causa avviata da una lavoratrice madre, il Tribunale aveva ritenuto che le dimissioni presentate dalla lavoratrice acquisissero comunque efficacia una volta terminato il periodo di maternità, anche in assenza di convalida da parte dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro. La Cassazione non considera corretta quest’interpretazione.

Con ordinanza n. 5598 del 23/02/2023, la Suprema Corte dà anzitutto valore al dettato letterale dell’art. 55 D.Lgs. 151/2001, dal quale si evince che la convalida da parte dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro costituisce condizione essenziale di efficacia delle dimissioni presentate dalla lavoratrice madre durante il periodo “protetto”, anche nel caso in cui tale periodo sia cessato senza che intervenisse la convalida.

In secondo luogo, la Corte ritiene che l’interpretazione basata sul dato letterale della disposizione sia l’unica in grado di realizzare a pieno lo scopo della stessa: la convalida da parte dei servizi ispettivi ha il fine di verificare la genuinità della volontà della lavoratrice di rassegnare le dimissioni, ossia di accertare che il proposito della lavoratrice madre, versante in condizioni di particolare fragilità, non sia stato influenzato dal datore di lavoro. Qualora si sostenesse, infatti, che il controllo da parte dei servizi ispettivi è ininfluente una volta trascorso il periodo tutelato, l’efficacia della norma rispetto al suo scopo risulterebbe del tutto vanificata: se le dimissioni sono state rassegnate durante la maternità, è con riferimento a tale momento che deve operare la tutela della lavoratrice, ossia nel momento in cui la stessa ha manifestato la propria volontà di recedere; dunque, il fatto che sia trascorso il periodo “protetto” senza che sia intervenuta la convalida è del tutto ininfluente rispetto all’inefficacia delle dimissioni.

La correttezza di tale interpretazione, conclude la Corte, è confermata dalla sua coerenza rispetto al dettato dell’art. 37 della Costituzione, che assicura alla donna lavoratrice la possibilità di adempiere alla sua essenziale funzione familiare.

Foto di Sarah Chai