Ai sensi della Legge n. 104/1992, il lavoratore, pubblico o privato, può fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito per assistere una persona con disabilità grave. Il D.Lgs. n. 105/2022, peraltro, ha introdotto in questo ambito modifiche importanti, ampliando la platea dei beneficiari del permesso e estendendo la possibilità di dividere il permesso tra più soggetti.
Per poter fruire dei permessi è necessario che la persona assistita sia il coniuge, parte di un’unione civile, convivente di fatto, parente o affine entro il secondo grado; è inoltre essenziale che il disabile non sia ricoverato a tempo pieno, non sussistendo, in tal caso, la necessità che venga assistito dal lavoratore.
Peraltro, fermo restando il limite di tre giorni di permesso, quest’ultimo può essere riconosciuto anche a più soggetti tra quelli sopra citati, che potranno fruire dei permessi alternandosi.
L’utilizzo dei permessi ai sensi della Legge 104/1992, dunque, è collegato necessariamente all’assistenza di un disabile; questo solleva la questione di come gestire correttamente il tempo di assistenza, rispettando i diritti del lavoratore e dell’assistito senza abusare della fiducia del datore di lavoro; è pacifico, infatti, che il lavoratore non possa approfittare dei permessi per soddisfare esigenze diverse rispetto all’assistenza del disabile: questo comportamento sarebbe contrario a correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’INPS, ragion per cui può essere sanzionato con il licenziamento. Ciò significa, però, che il lavoratore, durante l’utilizzo dei permessi, non può assolutamente occuparsi di alcun impegno personale?
Nell’ordinanza n. 26417 del 10 ottobre 2024, la Corte di Cassazione ha esaminato il caso di una lavoratrice che aveva usufruito dei permessi per assistere il padre disabile. L’azienda aveva contestato che, durante le giornate di permesso, la dipendente si era recata dal padre solo per una parte del tempo, impiegando il resto in attività personali estranee all’assistenza.
La Cassazione ha sottolineato che la legge non afferma con precisione in cosa debba consistere l’assistenza; tuttavia, la giurisprudenza sostiene da tempo che il nesso tra utilizzo del permesso e assistenza al disabile non va inteso in modo rigido, in quanto non può determinare un totale sacrificio delle esigenze personali e familiari del lavoratore. Il lavoratore, infatti, nel momento in cui chiede di utilizzare i permessi, non sa esattamente cosà dovrà fare per l’assistito e quanto tempo sarà impegnato nell’assistenza; per tale motivo, il permesso non viene richiesto su base oraria, ma si riferisce all’intera giornata. Dunque, non si può procedere a una rigida misurazione delle porzioni di tempo dedicate all’assistenza e agli impegni personali, ma si configura abuso dei permessi solo qualora questi vengano usati, in senso ampio, per finalità diverse dall’assistenza, cioè con modalità assolutamente incompatibili con lo scopo di assistenza.
Inoltre, il concetto di assistenza non si limita alla presenza fisica continua presso l’abitazione del disabile: le attività esterne, come recarsi in farmacia o dal medico, sono considerate parte integrante dell’assistenza, a patto che siano funzionali ai bisogni del familiare disabile.
In ultima analisi, la Corte evidenzia che il lavoratore è tenuto a comunicare al datore di lavoro i giorni di permesso, ma il datore non può esprimere il proprio gradimento o discrezionalità: infatti, l’imprenditore può sindacare la scelta dei giorni di permesso solo in caso di accordi in tal senso con le organizzazioni sindacali.
Trattandosi, peraltro, di permessi giornalieri su base mensile e non su base oraria, non è necessario che il lavoratore si dedichi completamente all’assistenza durante gli orari coincidenti con il turno di lavoro.
In sintesi, la sentenza offre un importante chiarimento sull’uso legittimo dei permessi previsti dalla Legge 104/1992, ma sottolinea anche la necessità per le imprese di adoperare procedure corrette per prevenire abusi senza incorrere in licenziamenti non fondati.