Risoluzione del contratto per difetto di conformità del bene di consumo

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Nei contratti di vendita di beni di consumo trova applicazione la disciplina speciale contenuta nel D.lgs. 206 del 2005 (Codice del Consumo). Tale disciplina assicura una maggiore protezione alla persona del consumatore rispetto a quella assicurata alla parte acquirente dalle norme che regolano la compravendita nel Codice civile, in ragione del maggior squilibrio contrattuale e strutturale che esiste tra il consumatore-acquirente e il “professionista”-venditore.

All’obbligo del venditore di consegnare il bene conforme al contratto di vendita, corrisponde il correlato diritto del consumatore a ricevere il bene esente da difetti di conformità.

Per la tutela di tale diritto, il Codice del consumo consente al compratore di esperire una serie di rimedi ulteriori rispetto a quelli indicati nell’art. 1492 c.c.: la normativa speciale offre al consumatore la possibilità di esperire un’azione di esatto adempimento sotto forma di riparazione o sostituzione del bene difforme, accanto alla proponibilità delle azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo previste anche dalla disciplina codicistica.

Il legislatore, pur offrendo una pluralità di rimedi in caso di difformità del bene, impone al consumatore di esperire dapprima i cd. rimedi primari (riparazione o sostituzione del bene) e solo successivamente i cd. rimedi secondari (risoluzione del contratto o riduzione del prezzo).

In questo senso si è più volte espressa la giurisprudenza, da ultimo con la pronuncia della Corte di Cassazione, ordinanza n. 25417 del 26 agosto 2022, la quale ha riconosciuto la facoltà del consumatore di esperire il rimedio per lui più conveniente una volta rispettato l’ordine gerarchico imposto dal legislatore.

Nel caso di specie, un consumatore aveva immediatamente riscontrato problematiche di vario tipo sul motociclo da poco acquistato, problematiche che lo avevano costretto a rivolgersi ripetutamente alle officine autorizzate per le necessarie riparazioni. Nonostante tali interventi, il motociclo continuava a presentare rilevanti malfunzionamenti che costringevano il consumatore a convenire in giudizio la parte venditrice chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento, la restituzione del corrispettivo di vendita e una somma a titolo risarcitorio.

Accolta la domanda attorea in primo grado, la Corte d’Appello di Trieste ribaltava la sentenza di prime cure ritenendo insussistenti i presupposti per la risoluzione del contratto.

Il consumatore ricorreva quindi in Cassazione lamentando, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell’art. 130 del Codice del Consumo ove disciplina nello specifico (per i contratti conclusi a partire dal 1° gennaio 2022, tale disciplina è trasfusa, con qualche modifica, nel nuovo art. 135-bis e seguenti) i rimedi offerti al consumatore in caso di difformità del bene acquistato.

Per i giudici di legittimità, tale motivo di gravame merita accoglimento.

Il rispetto dell’ordine gerarchico dei rimedi offerti al consumatore in caso di difformità del bene evidenzia il favor del legislatore per la conservazione del contratto: i rimedi primari, da esperire preliminarmente, mirano a garantire sia l’interesse del compratore di aver un bene conforme sia quello del venditore di far salvo l’affare concluso.

Il ricorrente ha correttamente richiesto, preliminarmente e in più occasioni, la riparazione del motociclo, optando quindi per uno dei due rimedi primari previsti dal legislatore.

L’inidoneità dei tentativi di riparazione, ampiamente dimostrata in giudizio, ha legittimato pertanto il consumatore a richiedere la risoluzione del contratto, nel rispetto della progressività dei rimedi predisposti dal legislatore.

A giudizio della Suprema Corte, infatti, la legittimità dell’agire del ricorrente di avvalersi successivamente di un rimedio cd. secondario si ricava agevolmente dalla lettura del comma 7 dell’art. 130 Cod. cons., ove consente al consumatore di richiedere la risoluzione del contratto sia nel caso in cui “la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose” sia nell’ipotesi in cui “la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore”.

Per tali ragioni, la Corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Trieste in diversa composizione.

Foto di Andrea Piacquadio