L’onere di provare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato grava sul lavoratore

Ai sensi dell’art. 2094 del codice civile, è prestatore di lavoro subordinato “chi si obbliga, mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. La Corte di Cassazione ha avuto recentemente modo, mediante ordinanza n. 25508 del 30/08/2022, di individuare elementi specifici di discernimento dei rapporti di lavoro subordinato rispetto ad altre fattispecie, nonché di pronunciarsi sulla ripartizione dell’onere della prova.

Il caso di specie vedeva un tirocinante avanzare domanda di accertamento di rapporto di lavoro subordinato, poiché l’attività svolta non avrebbe rispettato quanto indicato nel progetto formativo e di orientamento (lo stage sarebbe stato svolto in un’area diversa rispetto a quella inizialmente prevista), e sarebbe stata caratterizzata da modalità suggerenti la sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro.

Inoltre, dato che al termine del tirocinio il ricorrente aveva presentato istanza di convocazione per un eventuale rapporto di collaborazione professionale, poi respinta dall’azienda, la domanda di accertamento di rapporto di lavoro subordinato era finalizzata anche a far riconoscere il rifiuto aziendale come intimazione di licenziamento illegittimo.

Il giudice di legittimità anzitutto sottolinea come, al fine di sussumere una fattispecie all’interno della categoria del lavoro subordinato, sia necessario effettuare un indagine in concreto, ossia guardare all’effettivo svolgersi del rapporto, in quanto il comportamento delle parti, successivo alla stipula del contratto, non solo è funzionale all’interpretazione del contratto stesso, ma è persino in grado di mutare la natura del rapporto lavorativo: dunque, in un’eventuale contrasto tra i dati formali emergenti dal contratto e le vicende sostanziali, a queste ultime viene data prevalenza.

Ciò è necessario – prosegue la Corte – anche al fine di tutelare la parte debole del rapporto, vale a dire il lavoratore, il quale, per necessità, potrebbe essere indotto ad accettare un posto di lavoro che si atteggia in modo diverso rispetto alla sua qualifica formale.

Dunque, la Corte di Cassazione cita la propria trascorsa giurisprudenza nell’evidenziare gli elementi caratterizzanti un rapporto di lavoro subordinato, in quanto indicanti quella relazione di dipendenza e direzione intercorrente tra lavoratore e datore menzionata dal codice civile. Gli elementi decisivi sono il vincolo di soggezione del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia; l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale. Vi sono poi altri elementi che, pur non essendo determinanti, sono utili a chiarire la qualifica del rapporto: la retribuzione fissa mensile; l’orario di lavoro fisso e continuativo; la continuità della prestazione; l’assenza di rischio (fattori citati, tra le altre, dalla richiamata sentenza della Corte di Cassazione n. 7024 del 08/04/2015).

Tuttavia, l’onere di provare la sussistenza dei citati elementi grava sul lavoratore; tale conclusione è mutuata dal disposto dell’art. 2697 c.c.: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.

Nel caso di specie, il ricorrente aveva fallito nell’intento di dimostrare l’esistenza degli indici sopra menzionati, per cui la Suprema Corte respingeva il ricorso.

Foto di Pressmaster