TUTELA REINTEGRATORIA IN CASO DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO INTIMATO CON COMUNICAZIONE LACUNOSA SUI CRITERI DI SCELTA

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9800/2022, ha statuito che, nelle ipotesi di licenziamento collettivo, ove il datore non indichi all’interno della comunicazione di cui all’art. 4 comma 9 L. n. 223/1991 le modalità di applicazione dei criteri di scelta concordati con le organizzazioni sindacali, i dipendenti interessati avranno diritto alla reintegra nel posto di lavoro.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava illegittima la sanzione espulsiva irrogata nei confronti di diversi lavoratori dell’azienda, riconoscendo tuttavia ai dipendenti una mera indennità risarcitoria.

Secondo la prospettazione della Corte territoriale, il licenziamento intimato ex L. n. 223 del 1991, risultava affetto da mera violazione di carattere formale consistente nella mancata indicazione – nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 9, diretta ai lavoratori – dei concreti punteggi attribuiti a ciascun lavoratore e dei dati fattuali relativi ai carichi di famiglia, considerata l’indicazione dei tre criteri di scelta, dei punteggi astratti previsti in relazione a ciascun criterio, dei dati relativi all’anzianità di servizio di ciascun lavoratore, dei lavoratori da licenziare, e la produzione documentale, in sede giudiziale, del datore di lavoro che comprovava la corretta applicazione dei criteri di scelta.

I lavoratori proponevano ricorso in Cassazione, cui resisteva la Società con tempestivo controricorso.

Questi i principi espressi dalla Suprema Corte con la sentenza in commento.

I giudici di legittimità, nel richiamare un orientamento consolidato della stessa Corte, hanno ribadito che in materia di licenziamenti collettivi, la disciplina prevista dalla L. 233/1991 costituisce una garanzia  volta ad operare sia sul piano della tutela delle prerogative sindacali, sia delle garanzie individuali, tale da assolvere alla funzione di mettere le associazioni sindacali in condizione di poter contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.

La comunicazione, ex art. 4 comma 9 L. 233/1991 obbliga i datori di lavoro ad indicare in modo puntuale le modalità di applicazione dei criteri di scelta, consentendo ai sindacati e ai lavoratori interessati di controllare la correttezza dell’operazione e il rispetto degli accordi raggiunti. Inoltre, la stessa è volta a cristallizzare le ragioni del recesso, al fine di evitare che il datore di lavoro possa avanzare, a posteriori, deduzioni circa l’attuazione di modalità diverse rispetto a quelle risultanti dalla comunicazione stessa. A tal fine, l’esigenza di consentire il controllo (contestuale e successivo) impone che non solo i criteri, ma anche i presupposti fattuali sulla base dei quali i criteri sono stati applicati risultino ricavabili dalla comunicazione.

Nel caso di specie, la generica indicazione dei criteri di scelta e, in particolare, dei punteggi effettivamente attribuiti al dipendente in relazione all’anzianità, ai carichi di famiglia e alle esigenze tecnico – produttive ed organizzative, non ha consentito di verificare la coerenza tra detti canoni e la loro applicazione. Inoltre, non essendo stato fornito alcun parametro che permettesse di comparare la posizione dei lavoratori licenziati con quella di altri colleghi, è stata esclusa a priori la possibilità di verificare l’eventuale sussistenza di trattamenti più favorevoli ingiustificati.

A tal riguardo, il datore di lavoro deve provvedere a specificare nella comunicazione le modalità applicative dei criteri concordati con le associazioni sindacali, in modo che essa raggiunga un livello di adeguatezza sufficiente a porre il dipendente nella condizione di percepire perché lui e non altri colleghi, sia destinatario del licenziamento.

La lacunosità di detta comunicazione si è tradotta, sul piano concreto, in un’illegittima applicazione dei criteri di scelta, rispetto alla quale si configura una ipotesi di illegittimità del licenziamento, tale da consentire la reintegrazione nel posto di lavoro.

Sulla base di tali ragioni, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese legali relative al giudizio di legittimità.

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