RISARCIMENTO DANNI ALLA FIGLIA ABBANDONATA DAL PADRE NATURALE ANCHE DOPO VENTICINQUE ANNI DALLA NASCITA

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Il termine prescrizionale entro il quale il figlio abbandonato può richiedere il risarcimento del danno decorre dal momento in cui lo stesso acquisisca coscienza e capacità di reazione al comportamento illecito genitoriale, momento non necessariamente coincidente con il raggiungimento della maggiore età.

Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 40335 del 16/12/2021.

In primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda di risarcimento presentata dalla figlia per i danni patrimoniali ed esistenziali derivanti dalla deprivazione genitoriale. Tuttavia, la stessa ragazza impugnava la pronuncia sostenendo di aver diritto al riconoscimento di un importo maggiore in ragione dell’applicazione delle tabelle milanesi di liquidazione del danno. Da parte sua, il padre eccepiva che fosse intervenuta la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dall’abbandono della figlia e che mancasse la prova dell’elemento soggettivo dell’illecito contestato.

La Corte d’Appello accoglieva parzialmente la domanda della ragazza, riconoscendo a titolo di risarcimento del danno un importo maggiore rispetto a quanto stabilito in primo grado dal Tribunale. Riteneva inoltre che il disinteresse del padre nei confronti della figlia fosse stato ampiamente dimostrato in giudizio e che non potesse considerarsi prescritto il diritto di quest’ultima ad ottenere il risarcimento del danno. Precisava al riguardo che il danno da deprivazione genitoriale è da ritenersi come illecito permanente, che “(…) si realizza momento per momento fino a quando il dolore viene elaborato e la figlia abbandonata raggiunge una sua indipendenza psicologica, che convenzionalmente viene fatta coincidere con quella economica e ritiene di avere diritto al ristoro per il danno subito (…)”.

Il padre ha proposto ricorso in Cassazione, deducendo due motivi, da un lato la violazione dell’art. 2947 c.c. per aver la figlia proposto l’azione risarcitoria oltre il termine quinquennale decorrente dal raggiungimento della maggiore età; dall’altro la violazione dell’art. 2043 c.c. per non avere la Corte territoriale accertato i presupposti che integrano la relativa fattispecie, avuto riguardo all’assenza di elementi istruttori tesi a provare il turbamento psicologico e le relative conseguenze sulla sfera sociale o sulla realizzazione delle personali aspirazioni della stessa oltre al difetto dell’elemento soggettivo per non aver il padre potuto coltivato il rapporto genitoriale per ragioni oggettive (impegni di lavoro in altra città; condizioni di salute; ecc.).

In relazione al primo motivo, la Corte di Cassazione ha sottolineato che le conseguenze derivanti dall’abbandono del minore, soprattutto qualora ciò avvenga fin dalla nascita del bambino, investono la progressiva formazione della personalità del figlio ed incidono sulla relativa capacità di percezione dei fatti e reazione ad essi. In considerazione di ciò, la Corte ha specificato che l’acquisizione di una “maturità personale compatibile” è identificabile nel momento in cui il figlio sia capace di percepire le conseguenze pregiudizievoli della condotta illecita tenuta dal genitore e sia in grado di reagire richiedendo il risarcimento dei danni subiti in ragione dell’abbandono.

Da tale momento, non necessariamente coincidente con il raggiungimento della maggiore età, è possibile far decorrere il termine prescrizionale previsto dall’art. 2947 c.c.

L’azione risarcitoria della figlia deve ritenersi pertanto tempestivamente proposta.

Anche il secondo motivo viene respinto dalla Suprema Corte in quanto già formulato in appello e ivi rigettato, non potendosi in sede di legittimità rivalutare il merito e non risultando l’indicazione dell’errore di diritto che avrebbe compiuto la Corte territoriale. 

La Suprema Corte ha pertanto rigettato il ricorso e condannato il padre al pagamento delle spese in favore della figlia.

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