Il danno biologico consiste in un danno alla salute dell’individuo e, più precisamente, va inteso come la lesione temporanea o permanente all’integrità psichica e fisica della persona, accertata medicalmente.
Tale tipologia di danno rientra nella categoria del danno non patrimoniale poiché non è direttamente suscettibile di valutazione economica e può essere risarcito indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla capacità della persona di produrre reddito.
La quantificazione del risarcimento del danno biologico non risulta pertanto agevole e rischia di dar luogo a liquidazioni inique ed arbitrarie.
Per ovviare a ciò, si rende necessario che tutti i giudici abbiano dei parametri di valutazione uniformi, affinché identiche lesioni, in soggetti di uguale età, siano liquidati allo stesso modo.
Il ricorso a tali parametri non esime il giudice dall’adeguare l’ammontare del risarcimento al caso concreto, in base all’effettiva incidenza della lesione nella vita quotidiana e relazionale della persona.
In tema di liquidazione del danno biologico derivante da sinistro stradale si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione, con ordinanza del 15 giugno 2022 n. 19229.
Nel caso di specie, un soggetto aveva subito una lesione permanente all’integrità fisica in conseguenza di un sinistro stradale.
Vedendosi ridotta l’entità del risarcimento in sede d’appello, il danneggiato ha proposto ricorso sostenendo che il giudice di merito – sia nella stima del grado di invalidità permanente, sia nella stima della liquidazione del danno – avesse adottato un criterio sbagliato, in applicazione di una norma non entrata in vigore al momento del sinistro (l’art. 139 codice assicurazioni).
Per sostenere le proprie ragioni, il ricorrente ha richiamato anche una precedente sentenza della Corte di cassazione (Cass. 11048/09) che aveva stabilito che nel caso in cui non fosse applicabile una disciplina ad hoc, la valutazione del grado di invalidità, conseguente alle lesioni subite, potesse avvenire in via equitativa.
La Suprema Corte, pur dichiarando inammissibile il ricorso per non aver il ricorrente indicato un criterio alternativo e applicabile al caso concreto, ha deciso di approfondire la questione per formulare alcuni principi di diritto.
In primo luogo, la Corte ha chiarito che la liquidazione del danno, trattandosi di un giudizio e non di un elemento dell’illecito, deve avvenire in base alle norme vigenti al momento della liquidazione e non a quelle vigenti al momento del fatto.
In secondo luogo, i giudici di legittimità hanno analizzato il precedente richiamato dal ricorrente, al fine di confutarne l’assunto di fondo.
Tale decisione, infatti, si basava su di un’interpretazione erronea delle norme generali in tema di risarcimento del danno.
L’art. 1226 c.c. consente al giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa, ma non gli consente di determinare il grado di invalidità: quest’ultima determinazione costituisce un accertamento di fatto e non la liquidazione di un danno.
La determinazione del grado di invalidità, pertanto, deve avvenire “con criteriologia medico – legale, e sulla base di barème aggiornati e condivisi dalla comunità scientifica medico – legale”.
Del tutto lecita e corretta, in conclusione, la determinazione del giudice di secondo grado di accertare il grado di invalidità del ricorrente in base all’ apposita “tabella” delle lesioni all’integrità psicofisica approvata dal Ministero della Salute e richiamata dall’art. 139 del codice assicurazioni e, sulla base delle disposizioni di tale articolo, determinare la liquidazione del danno.
Foto di JD ‘S