La finalità primaria della legge quadro n. 104 del 1992, comunemente conosciuta come Legge 104, è quella di garantire il pieno rispetto della dignità umana e l’esercizio dei diritti di libertà e autonomia della persona diversamente abile, promuovendone la piena integrazione in ogni ambito della società.
In quest’ottica, la normativa prevede una serie di misure economiche e sociali a beneficio non solo della persona disabile, ma anche dei familiari che se ne prendono cura.
Il lavoratore che assiste un familiare disabile, in particolare, gode di due principali forme di agevolazione (art. 33):
– può usufruire di permessi retribuiti di astensione dal lavoro nella misura di tre giorni per mese;
– ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio del familiare assistito e non può essere trasferito senza il proprio consenso.
Al fine di poter godere di tali benefici, il lavoratore deve documentare che il familiare cui presta assistenza sia una persona con disabilità in situazione di gravità e non sia ricoverato a tempo pieno in una struttura sanitaria.
Al tempo stesso, le necessità di assistenza del familiare disabile da parte del lavoratore debbono essere bilanciate con le esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro.
Sul tema si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25836 del 1° settembre 2022, all’esito di un lungo iter processuale avviato da una lavoratrice che, sostenendo di dover beneficiare delle agevolazioni previste dalla legge per assistere la madre disabile, aveva chiesto che venisse dichiarata l’illegittimità del trasferimento nonché del successivo licenziamento intimatole in virtù del suo rifiuto a trasferirsi.
Il ricorso della lavoratrice veniva respinto sia in primo che secondo grado. Tuttavia, la sentenza di seconde cure veniva cassata con rinvio: per i giudici di legittimità, la Corte territoriale non avrebbe dovuto fermarsi alla mancanza di documentazione sull’invalidità grave e, quindi, ad un’interpretazione letterale del disposto della Legge 104, ma procedere ad una valutazione della serietà e rilevanza della disabilità sofferta dalla familiare della lavoratrice, sotto lo specifico profilo della necessità di assistenza, anche a fronte delle contrapposte esigenze produttive sottese al trasferimento.
In sede di rinvio, la Corte di Appello riteneva che la lavoratrice non avesse assolto all’onere di dimostrare la rilevanza della disabilità neppure sotto il profilo del bisogno di assistenza e, al contempo, accertava la sussistenza delle ragioni organizzative e produttive poste a base del trasferimento disposto dal datore.
Per la Corte di rinvio, poi, la legittimità della decisione datoriale di procedere al licenziamento per giusta causa era avvalorata dalla presenza di ulteriori elementi, già oggetto della lettera di contestazione e inerenti alla scelta della lavoratrice di godere di giorni di permesso e di ferie senza attendere alcun riscontro o autorizzazione della società datrice.
Chiamata nuovamente e definitivamente a statuire, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte di rinvio si fosse conformata ai principi di diritto contenuti nella sentenza rescindente e, pertanto, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso.
Foto di Ivan Samkov