Gli accomodamenti ragionevoli nei confronti dei lavoratori disabili

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Il principio di eguaglianza costituisce un caposaldo del nostro ordinamento, in quanto viene affermato dalla nostra Costituzione in due diverse accezioni: il primo comma dell’art. 3 della Costituzione effettua una constatazione in astratto, nel momento in cui afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Con il secondo comma, l’art. 3 della Costituzione impone allo Stato un ruolo attivo nella realizzazione, in concreto, della piena eguaglianza tra tutti i cittadini: la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione del Paese.

Uno degli ostacoli che la Repubblica è chiamata a rimuovere è rappresentato dalla condizione di disabilità del lavoratore, ossia le menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che possono comportare uno svantaggio e un impedimento alla piena partecipazione del lavoratore all’organizzazione aziendale.

A livello europeo, la direttiva 2000/78/CE si è proposta di combattere qualsiasi forma di discriminazione basata sull’handicap sul luogo di lavoro, censurando sia forme di discriminazione diretta che forme di discriminazione indiretta: sussiste discriminazione diretta quando il soggetto disabile è espressamente e platealmente trattato in modo meno favorevole per tramite di una disposizione del datore di lavoro; si ha, invece, discriminazione indiretta quando una disposizione o una prassi sono solo apparentemente neutre, ma in concreto mettono il soggetto disabile in posizione di particolare svantaggio rispetto ai suoi colleghi.

Il datore di lavoro, ai sensi della direttiva 2000/78/CE, è tenuto a prendere concreti provvedimenti affinché il lavoratore disabile sia inserito efficacemente all’interno del luogo di lavoro. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 18 gennaio 2024, ha ribadito questa necessità.

Nel caso di specie, un dipendente di una impresa spagnola, conducente a tempo pieno di automezzi per la raccolta di rifiuti, aveva subito un infortunio sul lavoro, a seguito del quale è stato dichiarato temporaneamente inabile al lavoro con riconoscimento di un indennizzo forfettario per lesioni permanenti. A seguito della richiesta del lavoratore la ditta lo  ha riassegnato ad un posto compatibile con le sue menomazioni fisiche. 

A seguito di nuovo appello, l’Istituto Nazionale di Previdenza Spagnolo ha modificato ladichiarazione di inidoneità in ‘permanente totale’ e il lavoratore ha ottenuto un’indennità mensile pari al 55% della sua retribuzione giornaliera. La ditta datrice di lavoro ha quindi notificato la risoluzione del contratto di lavoro, contro la quale il dipendente ha fatto ricorso.

Il Tribunale del lavoro di Ibiza ha respinto tale ricorso con la motivazione che il riconoscimento dell’inidoneità permanente totale ad esercitare la sua professione abituale giustificava la cessazione del suo contratto di lavoro, senza che il datore di lavoro fosse vincolato a un obbligo di riassegnazione a un’altra mansione.

Il lavoratore, quindi, ha proposto appello, a seguito del quale il caso è arrivato alla Corte superiore di giustizia delle Isole Baleari, che ha sollevato alcune questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia Europea.

La Corte ha evidenziato che l’art. 5 della direttiva 2000/78/CE deve essere interpretato nel senso di ostacolare una eventuale normativa nazionale che consenta al datore di lavoro di porre fine al contratto di lavoro a causa dell’inidoneità permanente del lavoratore senza adottare preventivamente ‘soluzioni ragionevoli’, ossia provvedimenti efficaci e pratici che consentano l’inserimento del lavoratore disabile.

Infatti, una normativa di questo tipo, secondo la Corte di Giustizia Europea, va contro l’obiettivo di garantire l’inclusione e l’occupazione delle persone con disabilità, come sancito dalla direttiva e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, che è stata ratificata anche dall’Unione Europea come istituzione.

La Corte ha sottolineato che, al tempo stesso, tale direttiva, essendo parte del diritto dell’Unione Europea, fa ufficialmente parte del quadro normativo spagnolo, essendo la Spagna uno Stato membro dell’Unione.

In conclusione, una normativa nazionale in materia di previdenza sociale non può contravvenire alle disposizioni della direttiva 2000/78/CE, erigendo la disabilità del lavoratore a causa di licenziamento, senza prevedere che il datore di lavoro prima provveda a introdurre accomodamenti ragionevoli al fine di consentire a tale lavoratore di conservare il posto di lavoro.

Il datore di lavoro potrà sottrarsi all’obbligo di introdurre accomodamenti ragionevoli solo qualora essi comportino un onere sproporzionato, tenuto conto dei costi finanziari, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’azienda, nonché della possibilità di usufruire di fondi pubblici o di altre sovvenzioni.

In definitiva, la CGUE sottolinea il ruolo di azione e di contribuzione che il datore di lavoro deve ricoprire per garantire l’eguaglianza e la parità di trattamento sul luogo di lavoro, salvo il bilanciamento con i diritti propri dell’imprenditore nel momento in cui si prospettino oneri eccessivi.

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