Jobs Act, una nuova pronuncia di incostituzionalità

Il D.Lgs. 23/2015 (c.d. Jobs Act), applicabile ai lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, disciplina il tema delle tutele per il lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. In particolare, il Jobs Act ha percorso il solco già tracciato in precedenza dalla riforma Fornero (L. 92/2012), in quanto prevede una gradazione della tutela a seconda del vizio che affligge il licenziamento.

Mentre dal 1970 al 2012, in caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore poteva sempre contare sulla reintegrazione nel posto di lavoro, ad oggi questo rimedio è ristretto alle ipotesi di licenziamento nullo e di licenziamento discriminatorio.

In caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, invece, è previsto che al lavoratore venga pagata un’indennità, salvo che il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa non sia fondato su un fatto insussistente; solo in quest’ultimo caso è prevista la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

Dunque, la tutela reintegratoria può ancora essere applicata se il fatto contestato dal datore di lavoro al lavoratore è insussistente; ciò, tuttavia, vale solo in relazione al licenziamento per giustificato motivo soggettivo, non anche in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Mentre il primo è un recesso determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore, il secondo non riguarda un comportamento del lavoratore, bensì l’attività aziendale nel suo complesso (ad esempio, la definitiva soppressione della posizione ricoperta dal lavoratore costituisce un giustificato motivo oggettivo di licenziamento).

In definitiva, ai sensi del Jobs Act, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo è sempre prevista la cessazione del rapporto di lavoro e il pagamento di un’indennità al lavoratore, quand’anche il fatto alla base del licenziamento fosse inesistente (per continuare nell’esempio, la posizione del lavoratore non è stata effettivamente soppressa).

Proprio tale incongruenza è oggetto della recente pronuncia della Corte costituzionale n. 128 del 16/07/2024, che torna a colpire il Jobs Act dopo varie pronunce di incostituzionalità, di cui l’ultima nel febbraio 2024.

La questione sottoposta alla Corte Costituzionale riguarda il licenziamento di un operaio specializzato, assunto da un’agenzia di somministrazione di lavoro. Il lavoratore aveva svolto due incarichi e, cessato l’ultimo di essi, il datore di lavoro aveva avviato la procedura di messa in disponibilità del lavoratore; appurata la mancanza di occasioni di lavoro, il lavoratore era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo.

Tuttavia, durante il giudizio era emerso che, in realtà, vi erano state offerte di lavoro disponibili per il lavoratore in questione, le quali, però erano state destinate ad altri lavoratori; il nominativo del lavoratore, infatti, non era mai stato proposto alle imprese utilizzatrici. Di conseguenza, il fatto alla base del licenziamento era da reputarsi insussistente, ma la tutela, come sopra illustrato, avrebbe dovuto limitarsi al pagamento di un’indennità, con conseguente perdita del posto di lavoro da parte dell’operaio.

La Corte ha rilevato l’irragionevolezza di tale conclusione, ossia di limitare la tutela reintegratoria al licenziamento per giustificato motivo soggettivo basato su un fatto insussistente, e di escluderla in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo afflitto dallo stesso vizio; in entrambi i casi, infatti, il licenziamento risulta senza causa, violando il principio, vigente nel nostro ordinamento, per cui il licenziamento deve sempre essere giustificato.

Inoltre, il datore di lavoro, nel caso in cui licenzi un lavoratore in modo arbitrario, potrebbe facilmente evitare la tutela reintegratoria qualificando il licenziamento come per giustificato motivo oggettivo piuttosto che soggettivo. Di conseguenza, la normativa contenuta nel Jobs Act fa sì che la tutela da accordare al lavoratore non dipenda dal vizio che caratterizza il licenziamento per giustificato motivo, ma da una scelta del datore di lavoro.

La Corte, dunque, dichiara l’incostituzionalità del Jobs Act nella parte in cui non prevede che si applichi la tutela reintegratoria anche alle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro.

La sentenza rafforza pertanto la posizione dei lavoratori, ampliando la possibilità di reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo e garantendo loro una maggiore protezione contro i licenziamenti basati su motivazioni infondate. Al contempo, i datori di lavoro dovranno essere più cauti e accurati nelle procedure di licenziamento, sapendo che l’insussistenza del fatto materiale alla base del recesso potrà portare alla reintegrazione del lavoratore.

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