Una recente ordinanza della Corte di cassazione (n. 172 del 07/01/2025) è tornata sul delicato tema della giusta causa di licenziamento, con particolare riferimento al legame fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, offrendo spunti di riflessione importanti sulla gestione delle condotte disciplinari e sulla loro rilevanza ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro.
Il caso riguarda un lavoratore licenziato per giusta causa dalla propria azienda, che aveva contestato una serie di condotte gravi e reiterate. Tra queste, la mancata comunicazione e giustificazione dell’assenza dal lavoro per più giorni, l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro, l’uso di un certificato medico falso per giustificare l’assenza, le offese verbali nei confronti di un collega e la recidiva per episodi disciplinari precedenti, tra cui uno schiaffo a un collega e atteggiamenti di sfida verso i superiori.
La Corte d’Appello aveva confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo che le condotte sopra elencate, sia singolarmente sia nel loro insieme, fossero sufficienti a compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.
La Corte di Cassazione, con questa ordinanza, ribadisce il principio secondo cui la giusta causa di licenziamento si configura quando il comportamento del lavoratore è tale da rendere impossibile la prosecuzione anche provvisoria del rapporto lavorativo. Tale valutazione si basa sulla gravità della condotta.
In questo caso, l’utilizzo di un certificato medico falso e le reiterate offese verso i colleghi hanno dimostrato “un disprezzo per l’organizzazione aziendale e la dignità delle persone coinvolte”. Inoltre, è centrale l’incidenza sulla fiducia: la Corte ha sottolineato che il legame fiduciario tra datore e lavoratore è un elemento cardine del rapporto di lavoro e può essere compromesso anche da singoli episodi gravi.
Un aspetto particolarmente rilevante della sentenza è l’attenzione dedicata alla recidiva. Il lavoratore, infatti, era già stato sanzionato in passato per comportamenti inadeguati, tra cui atti di violenza fisica e disobbedienza verso i superiori. La recidiva ha rappresentato un ulteriore elemento a sostegno della decisione del datore di lavoro di procedere con il licenziamento.
Un punto centrale del ricorso presentato dal lavoratore riguardava la mancata ammissione di prove testimoniali volte a dimostrare la genuinità del certificato medico. La Corte ha respinto tale motivo, chiarendo che la mancata ammissione di una prova è censurabile in Cassazione solo se l’esclusione ha determinato l’omissione di un fatto decisivo per la controversia.
Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che gli elementi già acquisiti fossero sufficienti per confermare la legittimità del licenziamento.
Alla luce di tali considerazioni, per i giudici della Suprema Corte risulta essenziale che ogni contestazione disciplinare sia documentata in modo chiaro e preciso. Infatti, ogni comportamento deve essere valutato sia singolarmente sia nel contesto complessivo, tenendo conto dell’impatto sulla fiducia reciproca, in quanto episodi disciplinari reiterati possono costituire un elemento decisivo per giustificare un licenziamento per giusta causa.
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