Con l’ordinanza n. 8849 del 3 aprile 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in tema di patto di prova, chiarendo che, trattandosi di clausola sottoposta a forma scritta ad substantiam, la sua validità deve essere accertata con riferimento al momento iniziale del rapporto di lavoro.
La sentenza prende posizione su un caso in cui un lavoratore, formalmente assunto da una società dopo la cessazione di un precedente rapporto con altra società dello stesso gruppo, ha impugnato il licenziamento sostenendo l’inesistenza di un valido patto di prova, in quanto privo della sottoscrizione della datrice di lavoro alla data di inizio dell’attività.
I giudici di merito avevano ritenuto che il contratto prodotto in giudizio dalla società, pur sottoscritto in un momento successivo, potesse comunque sanare retroattivamente l’assenza del requisito formale.
La Cassazione ha smentito questa impostazione, affermando con chiarezza che “la forma scritta necessaria, a norma dell’art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam e che tale essenziale requisito di forma […] deve sussistere sin dall’inizio del rapporto di lavoro, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie”.
Prosegue la Corte, evidenziando che “è vero che, in via generale, in tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta ad substantiam, la produzione in giudizio di una scrittura privata a cura di chi non l’aveva sottoscritta costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale”; tuttavia, questo principio ha efficacia ex nunc, e non può in alcun modo retroagire a sanare l’originaria nullità del patto. Ne deriva che “al momento dell’inizio del rapporto di lavoro non vi era un valido patto di prova”, e pertanto il contratto deve ritenersi costituito ab origine come contratto a tempo indeterminato.
In assenza di un patto di prova valido, conclude la Corte, non sussiste alcuna “area di libera recedibilità” in favore del datore di lavoro.
La pronuncia assume particolare rilievo perché chiarisce un punto di diritto fondamentale: la forma del patto di prova non è un dettaglio sanabile, ma un requisito essenziale che deve risultare completo e opponibile già all’inizio dell’attività lavorativa. La produzione tardiva di un contratto non firmato o di data incerta non è sufficiente a conferire validità a un patto altrimenti nullo.
Con questa decisione, la Cassazione rafforza le garanzie del lavoratore in fase di assunzione, sottolineando che la libertà di recesso durante il periodo di prova può operare solo in presenza di un valido accordo formale sottoscritto da entrambe le parti prima dell’inizio dell’attività. In mancanza di tale condizione, ogni recesso datoriale anticipato è da considerarsi ingiustificato, con tutte le conseguenze in termini di reintegra o risarcimento.
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