Con l’ordinanza n. 15987 del 15 giugno 2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema della presunzione di conoscenza dell’atto recettizio, con particolare riferimento alla comunicazione del licenziamento e al regime decadenziale previsto per l’impugnazione.
La vicenda nasce dal ricorso di un lavoratore che aveva ricevuto la lettera di licenziamento al proprio domicilio, ma che ne aveva appreso il contenuto solo successivamente, in quanto la stessa era stata materialmente ritirata dalla madre convivente, la quale, a suo dire, aveva volutamente omesso di riferirgliela per proteggerlo, viste le sue condizioni psico-fisiche.
La Corte d’Appello di Bologna, confermando la pronuncia di primo grado, aveva ritenuto il lavoratore decaduto dal diritto di impugnare il licenziamento per decorso del termine previsto dall’art. 6 della L. 604/1966, facendo leva sul principio per cui la lettera, una volta recapitata al domicilio, si presume conosciuta dal destinatario ai sensi dell’art. 1335 c.c.
Tale disposizione stabilisce, infatti, che un atto recettizio si presume conosciuto quando giunge all’indirizzo del destinatario, a meno che quest’ultimo non provi che la conoscenza gli è stata impedita da “circostanze oggettive e non imputabili”.
Nel ricorso per Cassazione, il lavoratore aveva sostenuto che tale presunzione dovesse ritenersi superata, giacché la mancata conoscenza dell’atto era dipesa da un fatto oggettivo esterno alla sua volontà: il comportamento della madre.
La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto il motivo infondato, riaffermando il principio, consolidato anche dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 23874/2024), secondo cui la presunzione di conoscenza legale dell’art. 1335 c.c. ha natura iuris tantum, ma può essere superata solo dimostrando che il lavoratore, per fatti oggettivi e incolpevoli, non abbia potuto conoscere l’atto, e non semplicemente perché terzi (anche familiari) non glielo hanno comunicato per scelta o valutazione personale.
È infatti necessario che la prova contraria si fondi su circostanze oggettive, esterne e non soggettive, che abbiano effettivamente impedito la conoscibilità dell’atto.
Interessante è il richiamo della Corte alla formulazione stessa dell’art. 1335 c.c., che non richiede la “non conoscenza”, bensì l’impossibilità di averne notizia, ponendo dunque un parametro oggettivo di valutazione, indipendente dalla volontà o dalle condizioni psicologiche del destinatario.
Nella fattispecie, il ricorrente non è riuscito a dimostrare l’esistenza di ostacoli oggettivi tali da impedire la conoscibilità dell’atto: la lettera era giunta regolarmente al domicilio, la madre era convivente e non vi era prova che l’omessa comunicazione fosse legata a cause estranee alla sfera familiare o che l’interessato fosse, ad esempio, ricoverato, assente o impossibilitato ad avere contatti.
Per la Corte, quindi, la presunzione di conoscenza ha pieno effetto e il termine per impugnare il licenziamento ha cominciato a decorrere dalla data di ricezione dell’atto al domicilio, rendendo inammissibile il ricorso per decadenza. Né può rilevare, secondo i giudici, la mancata trascrizione del contenuto della comunicazione impugnata, che non permette alla Corte di valutare le ulteriori censure proposte in merito all’idoneità della lettera a costituire formale atto di recesso motivato.
Foto di SAULO LEITE da Pexels