Cassazione: licenziamento orale sempre indennizzabile

Con la recente ordinanza n. 20686/2025, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in tema di licenziamento orale nel regime del contratto a tutele crescenti introdotto dal D.lgs. n. 23/2015 (cosiddetto Jobs Act): al lavoratore illegittimamente licenziato in forma orale spetta comunque, in ogni caso, il risarcimento minimo di cinque mensilità, a prescindere dall’eventuale immediato reperimento di una nuova occupazione.

Nel caso esaminato, un lavoratore aveva impugnato il licenziamento orale intimatogli dalla datrice di lavoro.

La Corte d’Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, aveva riconosciuto l’illegittimità del recesso, fondandosi sulla comunicazione trasmessa dalla datrice di lavoro al Centro per l’Impiego e rilevando l’assenza di prova circa la forma scritta del licenziamento, obbligatoria ex lege. Tuttavia, i giudici d’appello avevano ridotto il risarcimento spettante al lavoratore detraendo l’aliunde perceptum, cioè i redditi percepiti da un nuovo impiego iniziato appena un mese dopo.

La Cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore, ha precisato che l’art. 2, comma 2, del D.lgs. 23/2015 dispone che l’indennità risarcitoria per licenziamento nullo o inefficace “non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR”.

Secondo la Suprema Corte, questa soglia minima deve essere sempre garantita, anche qualora il lavoratore abbia trovato un’altra occupazione e quindi percepito retribuzione nel periodo successivo al licenziamento. Il principio era già stato affermato in passato, in riferimento all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, e viene ora esteso anche al regime delle tutele crescenti.

La Corte osserva che l’aliunde perceptum può rilevare solo ai fini della riduzione del danno oltre il minimo legale, ma non può comprimere l’indennità base garantita dalla legge. Il datore di lavoro non può, dunque, sottrarsi al pagamento delle cinque mensilità minime neppure quando dimostri che il dipendente ha percepito redditi alternativi nel periodo successivo al recesso.

Il principio stabilito dalla Cassazione, pertanto, risulta avere una particolare rilevanza sistematica: tutela la certezza del diritto e la funzione dissuasiva della sanzione per l’inadempimento datoriale più grave, cioè l’inosservanza dell’obbligo di forma scritta nei licenziamenti.

Come ricordano i giudici, tale forma è ad substantiam e la sua assenza rende il recesso inefficace.

La Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione per il nuovo esame della questione e il regolamento delle spese.

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