Condotta extralavorativa e giusta causa di licenziamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32952 del 17 dicembre 2025, torna ad affrontare un tema particolarmente delicato nel diritto del lavoro: la rilevanza disciplinare della condotta extralavorativa del dipendente e il suo possibile impatto sul vincolo fiduciario che sorregge il rapporto di lavoro.

Il caso trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato a un operatore ecologico, condannato in sede penale per reati di stalking, lesioni personali aggravate e danneggiamento nei confronti dell’ex coniuge.

La Corte d’Appello di Napoli aveva ritenuto illegittimo il recesso, valorizzando il fatto che i reati fossero stati commessi al di fuori dell’ambiente lavorativo e non avessero inciso sull’immagine dell’azienda né sull’esecuzione della prestazione.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso datoriale, cassa tale decisione, offrendo chiarimenti di sistema di particolare rilievo.

Secondo un orientamento ormai consolidato, richiamato espressamente dalla Cassazione, il lavoratore non è tenuto soltanto a rendere la prestazione dovuta, ma anche a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti idonei a ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o a compromettere il rapporto fiduciario.

In tal senso, la Corte ribadisce che: “[…] la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto, quale obbligo accessorio, a non porre in essere comportamenti tali da compromettere il vincolo fiduciario”

Non è dunque decisivo che il fatto si collochi temporalmente e spazialmente al di fuori del luogo di lavoro. Ciò che rileva è la gravità oggettiva della condotta e la sua idoneità a riflettersi negativamente sul rapporto fiduciario.

Un passaggio centrale dell’ordinanza riguarda la qualificazione della giusta causa. Gli ermellini ribadiscono che essa costituisce una nozione legale, non rimessa alla disponibilità delle parti sociali, e che le previsioni del contratto collettivo hanno valore meramente esemplificativo.

La “scala valoriale” contenuta nel CCNL rappresenta uno dei parametri interpretativi, ma non può comprimere il giudizio richiesto dall’art. 2119 c.c. In questo senso, la Corte richiama l’art. 30 della legge n. 183/2010, secondo cui il giudice deve tener conto delle tipizzazioni collettive, senza tuttavia esserne vincolato.

Ne consegue che una condotta può integrare giusta causa anche se non espressamente prevista dal contratto collettivo, ove sia tale da rendere impossibile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.

Particolarmente significativo è il passaggio in cui la Cassazione censura l’interpretazione restrittiva della Corte territoriale, che aveva limitato l’ambito applicativo della clausola collettiva alle sole condotte poste in essere sul luogo di lavoro.

Secondo la Suprema Corte, una simile lettura: “finisce per confinare la tutela della dignità della persona al dato fisico del luogo di commissione dell’illecito, escludendo in radice che condotte di estrema gravità possano riverberare effetti sul vincolo fiduciario”.

La dignità della persona, valore di rango costituzionale, non può essere compressa entro confini meramente spaziali. Condotte violente, persecutorie e abituali, ancorché consumate in ambito familiare o sociale, possono incidere in modo diretto sulla capacità del lavoratore di adempiere correttamente la prestazione, soprattutto quando le mansioni comportino contatti con il pubblico o richiedano autocontrollo e affidabilità.

Alla luce di ciò,il giudizio non può arrestarsi alla distinzione formale tra vita privata e vita lavorativa, ma deve valutare in concreto l’idoneità della condotta a incrinare il rapporto fiduciario.

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