L’art. 1476 del Codice civile consente a chi è parte di un contratto a prestazioni corrispettive (o sinallagmatico), quando la prestazione cui è tenuta diventi eccessivamente onerosa rispetto alla controprestazione dell’altro contraente, di domandare la risoluzione del contratto.
Per ottenere la risoluzione del contratto, tuttavia, l’eccessiva onerosità della prestazione, non solo deve essere sopravvenuta e quindi manifestarsi nel corso del rapporto obbligatorio, ma deve essersi verificata a causa di avvenimenti straordinari e imprevedibili al momento della conclusione del contratto ed esorbitare il grado di incertezza economica insito in ogni rapporto contrattuale.
Il Tribunale di Arezzo, pronunciandosi con ordinanza del 22 giugno 2022, ha affrontato una questione di stretta attualità, il vertiginoso aumento dei costi dell’energia elettrica, in relazione all’alterazione dell’equilibrio contrattuale che un tale aumento può determinare e alla conseguente possibilità di chiedere la risoluzione contrattuale ai sensi dell’art. 1467 c.c.
La pronuncia origina dal ricorso in sede cautelare di una società che, in virtù di un contratto di “fornitura di servizi di deposito stoccaggio e movimentazione merci” aveva messo le proprie celle frigorifere a disposizione per i beni dell’altro contraente, verso un corrispettivo mensile, a decorrere dal 1° aprile 2021.
La ricorrente deduceva che con l’aumento dei costi in bolletta a partire dal giugno successivo, il corrispettivo mensile originariamente fissato risultasse ormai inadeguato; ciò nonostante, la controparte non si era mai resa disponibile a rinegoziare le condizioni economiche del contratto, come invece avevano fatto gli altri principali clienti.
Pertanto, la ricorrente chiedeva al giudice di accertare la sussistenza dei presupposti della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta e di disporre i provvedimenti d’urgenza ritenuti idonei per assicurare provvisoriamente gli effetti del giudizio di merito (art. 700 c.p.c.).
Il Tribunale, dichiarata la contumacia di parte resistente, ha vagliato la sussistenza dei requisiti necessari per l’accoglimento della domanda cautelare sulla base di quanto dedotto nell’atto introduttivo.
Quanto al fumus boni iuris, il giudice, dopo aver premesso che l’eccessiva onerosità sopravvenuta nei contratti di fornitura non è ravvisabile “nella mera variazione del costo delle materie prime rientranti nella ordinaria oscillazione dei prezzi e, quindi, nell’alea normale del contratto”, ha constatato che l’aumento dei prezzi dell’energia elettrica fosse avvenuto in maniera straordinaria e imprevedibile, come conseguenza della crisi economica e finanziaria, peraltro aggravata dal conflitto bellico in corso in Ucraina. In aggiunta a tale considerazione, il Tribunale ha riconosciuto la particolare incidenza che la voce di costo relativa all’energia elettrica assumesse nell’esercizio dell’attività economica dell’impresa ricorrente.
Il giudice ha poi osservato, aderendo ad un recente orientamento della giurisprudenza di merito, che la parte che riceve uno svantaggio a seguito del mutamento del quadro fattuale e giuridico alla base dell’accordo, debba avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto. Ciò posto, il giudice ha quindi rilevato nell’atteggiamento di parte resistente una violazione del dovere generale di buona fede, operante anche nella fase successiva al contratto e quale “fonte di integrazione della regolamentazione contrattuale”.
Il ricorso è stato ritenuto fondato anche sotto il profilo del periculum in mora, considerato che il protrarsi delle ormai inique condizioni contrattuali avrebbe determinato il rischio oggettivo di cessazione dell’attività e di perdita di posti di lavoro.
Per questi motivi, il Tribunale ha disposto la cessazione della fornitura e ordinato la liberazione immediata dei beni occupati, condannando parte resistente, ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., a corrispondere cento euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Foto di Karolina Grabowska