Il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) è un accordo stipulato periodicamente dalle rappresentanze sindacali insieme ai rappresentanti dei datori di lavoro, con il quale si regolano la gran parte delle questioni sottese al rapporto di lavoro: per esempio, la retribuzione è dettagliatamente descritta nel CCNL, così come la possibilità di ottenere permessi e congedi.
La forza vincolante del CCNL deriva dal fatto che, per espressa previsione di legge, i contratti di lavoro individuali devono uniformarsi a quanto riportato nel contratto collettivo; il contratto individuale di lavoro non potrà, dunque, contenere disposizioni contrastanti con il CCNL. Qualora ciò accadesse, la clausola contrastante verrebbe sostituita dalla previsione del CCNL, salvo che la clausola del contratto individuale non contenga previsioni più favorevoli al lavoratore rispetto a quanto previsto dal CCNL: quest’ultimo, infatti, ha la funzione di consentire ai lavoratori – normalmente parte debole del rapporto di lavoro – di ottenere condizioni contrattuali migliori attraverso un’azione collettiva; se il contratto individuale già prevede condizioni migliori rispetto a quelle disposte dal CCNL, la funzione di quest’ultimo viene a mancare.
I contratti collettivi si differenziano per le categorie professionali a cui sono rivolti, ma anche per l’ambito territoriale sottoposto alla loro disciplina; si distinguono, in tal senso, i contratti collettivi nazionali – rivolti a tutti i lavoratori del Paese appartenenti a una determinata categoria professionale – e i contratti collettivi regionali – che regolano i rapporti di lavoro all’interno di una determinata regione.
A un lavoratore, dunque, può applicarsi sia il contratto nazionale che quello regionale; ed è altresì possibile che i due contratti collettivi contengano disposizioni contrastanti tra loro, con conseguente dubbio su quale disposizione applicare. Sul tema si è pronunciata la Corte di Cassazione con ordinanza n. 30812 del 06/11/2023.
La Cassazione ha ricordato che i contratti collettivi, nonostante la loro ampia portata, sono pur sempre dei contratti, e vanno dunque interpretati come qualsiasi altro contratto. In particolare, si applicherà l’art. 1362 del codice civile, secondo il quale, nel caso in cui il contratto contenga indicazioni dal dubbio significato, esso dovrà essere interpretato risalendo alla volontà delle parti contraenti.
In caso di contrasto tra le disposizioni del contratto nazionale e quelle del contratto regionale sarà necessario capire, sulla base delle parole utilizzate nei contratti, se chi li ha stipulati intendeva privilegiare una disposizione. I contratti collettivi, infatti, nonostante il diverso ambito territoriale coperto, hanno tutti pari dignità e forza vincolante; per cui, un contratto collettivo regionale ben può derogare a un contratto nazionale.
La Cassazione ha preso in considerazione, in particolare, il caso dell’art. 54 del CCNL idraulico-forestale, il quale dispone che, se il lavoratore usa mezzi di trasporto propri per il raggiungimento del posto di lavoro, allo stesso spetta un rimborso pari a un quinto del costo della benzina super per chilometro percorso. Al contempo, il Contratto Integrativo Regionale Calabria dispone che il rimborso va calcolato diversamente, ossia per fasce di percorrenza.
Tuttavia, l’art. 2 del CCNL idraulico-forestale impedisce che i contratti regionali possano disciplinare materie già regolate dal contratto nazionale; ciò fatto salvo un elenco di materie, tra le quali figura quella delle “Missioni e trasferte”, la quale, però, non coincide con la materia dei mezzi di trasporto per il raggiungimento del posto di lavoro. Di conseguenza, nel caso di specie trovava applicazione la disposizione del contratto nazionale e non quella del contratto regionale, e il rimborso andava dunque calcolato secondo le norme del contratto nazionale.
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