Infortunio sul lavoro: risponde il preposto se non interrompe l’attività nonostante i rischi segnalati

La figura del preposto d’impresa è inquadrata nell’ambito dell’organizzazione aziendale della sicurezza sul lavoro. Ad essa il legislatore ha attribuito recentemente una rilevante importanza apportando una sostanziale modifica all’art. 19 del D. Lgs. n. 81/2008, con il quale sono stati già imposti gli obblighi a suo carico nella specifica materia.

Con tale modifica infatti è stato aggiunto nel comma 1 il compito per lo stesso di intervenire per modificare il comportamento dei singoli lavoratori e di interrompere anche la loro attività, se non conforme alle disposizioni di legge e aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza e informando i diretti superiori.

Allo stesso preposto altresì, con l’introduzione del comma f-bis) nell’art. 19, è stato attribuito il compito, nel caso in cui venissero rilevate delle deficienze sia dei mezzi che delle attrezzature di lavoro e comunque delle condizioni di pericolo, di interrompere temporaneamente l’attività e di segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate.

Detta figura è protagonista della sentenza n. 46855 del 22.11.2023 della Corte di Cassazione, con la quale è stato affermato che deve essere considerato penalmente responsabile del sinistro occorso al dipendente, il preposto che ha omesso di sospendere l’attività nonostante i rischi segnalatigli.

Nel caso di specie, il preposto, con funzioni di capocantiere, è stato ritenuto penalmente responsabile per aver cagionato la morte di un lavoratore, caduto da una altezza di circa 10 metri durante lo svolgimento dei lavori di rimozione di lastre di eternit poste sulla copertura di alcuni capannoni industriali.

Più nello specifico, il preposto è stato accusato di aver operato con negligenza, imprudenza ed imperizia nonché in violazione di norme poste a tutela della sicurezza sul lavoro, in ragione della riscontrata carenza di presidi di sicurezza contro la caduta dall’alto, sia di tipo collettivo che individuali, e di aver fatto proseguire i lavori nelle condizioni indicate fino alla verificazione del sinistro, nonostante il giorno precedente fosse stato informato verbalmente dal responsabile per la sicurezza del cantiere della necessità di sospendere i lavori, constatata l’assenza nel cantiere di idonee misure di sicurezza contro la caduta dall’alto.

La Corte di Appello ha confermato la pronuncia del Tribunale con la quale il preposto era stato condannato alla pena di due anni e sei mesi di reclusione.

Contro la sentenza della Corte d’Appello l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo, la “manifesta illogicità” della motivazione in ordine alla prova dell’avvenuto suo svolgimento delle mansioni di preposto e di capocantiere, eccependo altresì di non aver mai sottoscritto il piano operativo di sicurezza.

I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto inammissibile il ricorso presentato dall’imputato e, nel rigettarlo, hanno messo in evidenza che era stato accertato che al momento dei fatti, l’imputato ricopriva la qualifica di preposto, che aveva inoltre ammesso di essere stato nominato responsabile del cantiere, che disponeva di un’adeguata competenza tecnica, per aver ricevuto una formazione specifica da parte della società di cui era dipendente.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso è quindi derivata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).

Foto di Kateryna Babaieva