Il lavoratore non può rinunciare ai propri diritti derivanti da norme di legge inderogabili; ad esempio, il lavoratore non potrà rinunciare alle ferie, alla retribuzione o al risarcimento dei danni derivanti da un infortunio sul lavoro.
La ragione per cui la legge considera invalide queste rinunce risiede nel fatto che il lavoratore, solitamente, è la parte debole del rapporto di lavoro; dunque, potrebbe essere facilmente influenzato dal datore. Tanto che il lavoratore, se ha effettuato una rinuncia, potrà impugnare la stessa entro un termine di sei mesi decorrenti dalla cessazione del rapporto di lavoro; infatti, prima di questo momento, il lavoratore potrebbe non impugnare la rinuncia per timore di ripercussioni.
L’art. 2113 c.c., tuttavia, precisa che le rinunce sono valide se effettuate nell’ambito di una conciliazione stipulata in una sede protetta; tra le sedi protette figura la sede sindacale.
Elemento essenziale della conciliazione sindacale è l’assistenza da parte del sindacalista; quest’ultimo ha il compito di assicurarsi che il lavoratore comprenda a pieno il significato delle rinunce che sta compiendo, di modo che la sua volontà non venga influenzata in alcun modo.
Non è invece strettamente necessario che la conciliazione sindacale sia effettuata nella sede del sindacato: la Corte di Cassazione ha precisato questo punto con l’ordinanza n. 1975 del 18/01/2024.
La conciliazione sindacale può svolgersi anche al di fuori della sede del sindacato, purché il lavoratore riceva assistenza da parte del sindacalista.
Lo svolgimento della conciliazione presso la sede sindacale, semmai, fa presumere che la volontà del lavoratore di sottoscrivere la conciliazione fosse genuina; per cui, qualora il lavoratore volesse contestare la validità della conciliazione, dovrebbe dimostrare di non aver avuto assistenza da parte del sindacalista.
Invece, se la conciliazione è avvenuta in una sede diversa, dovrà essere il datore di lavoro a dimostrare che il lavoratore ha usufruito di un’effettiva assistenza sindacale o che, in ogni caso, era perfettamente consapevole del significato delle sue rinunce.
La Cassazione non ritiene necessario neanche che il lavoratore conferisca l’incarico al sindacalista prima della conciliazione; il mandato può essere conferito anche contemporaneamente allo svolgimento della conciliazione, ma questa circostanza può essere considerata un indizio sulla non effettività dell’assistenza sindacale.
In definitiva, la Cassazione considera preminente lo scopo perseguito dalla legge: garantire al lavoratore un’effettiva conoscenza delle proprie rinunce e far sì, dunque, che in sede di conciliazione i rapporti di forza tra lavoratore e datore di lavoro siano equilibrati; in tal senso, non importa tanto il luogo in cui avviene la conciliazione, quanto il fatto che il sindacalista offra un’effettiva assistenza.
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