La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 31866/2024, affronta un tema di grande rilevanza nel diritto del lavoro: l’idoneità di una condotta illecita extralavorativa a integrare la giusta causa di licenziamento. Il caso ha fornito l’occasione per ribadire principi fondamentali, con particolare attenzione al rapporto tra condotte personali e fiducia nel rapporto lavorativo.
La controversia trae origine dal licenziamento per giusta causa di un conducente di autobus, dipendente di un’azienda di trasporti pubblici, a seguito di una condanna penale irrevocabile per reati di violenza sessuale, maltrattamenti familiari e lesioni personali. La Corte d’Appello di Milano aveva confermato la legittimità del licenziamento, sottolineando la gravità delle condotte poste in essere e il loro impatto negativo sulla fiducia del datore di lavoro.
Il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che i fatti contestati riguardavano esclusivamente la sua sfera personale e non avrebbero inciso sulla sua attività lavorativa. Inoltre, ha evidenziato il percorso riabilitativo intrapreso successivamente alla condanna.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che la condotta extralavorativa può rilevare ai fini disciplinari se compromette il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. In questo caso, le mansioni del dipendente comportavano contatto diretto con il pubblico e richiedevano un elevato grado di autocontrollo e rispetto degli utenti.
Inoltre, il contesto lavorativo è determinante: la funzione di conducente di autobus, operante in un servizio pubblico, implica specifiche responsabilità nei confronti della collettività. La natura abituale e particolarmente grave delle condotte contestate ha eliso la fiducia necessaria per il proseguimento del rapporto di lavoro.
In aggiunta a ciò, il percorso riabilitativo successivo non incide retroattivamente sulla valutazione dei fatti. La legittimità del licenziamento deve, quindi, essere valutata alla luce delle condotte contestate e non degli sviluppi successivi.
I giudici della Suprema Corte hanno ribadito che la giusta causa di licenziamento, ai sensi dell’articolo 2119 c.c., non richiede necessariamente un nesso diretto tra condotta e prestazione lavorativa. Ciò che rileva è l’incidenza della condotta sulla fiducia, che rappresenta il fondamento del rapporto di lavoro.
Questa pronuncia si inserisce in un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il lavoratore è tenuto non solo a eseguire correttamente la prestazione lavorativa, ma anche a mantenere un comportamento che non leda gli interessi morali e materiali del datore di lavoro, neanche al di fuori del contesto lavorativo.
La valutazione della giusta causa di licenziamento richiederà, dunque, un bilanciamento tra i diritti del lavoratore e le esigenze organizzative e reputazionali del datore di lavoro. In definitiva, la condotta extralavorativa può assumere rilievo decisivo quando le caratteristiche delle mansioni svolte rendono imprescindibile un elevato standard etico e comportamentale.
Foto di RDNE Stock project da Pexels