Demansionamento: il danno morale va risarcito separatamente

Con l’ordinanza n. 32359 dell’11 dicembre 2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla corretta liquidazione dei danni conseguenti al demansionamento, con particolare riferimento alla autonomia del danno morale rispetto al danno patrimoniale alla professionalità.

La decisione si inserisce nel solco di un orientamento ormai consolidato, ma assume un rilievo particolare perché censura espressamente la prassi – ancora diffusa nei giudizi di merito – di procedere a una liquidazione unitaria di pregiudizi ontologicamente distinti.

La vicenda trae origine dal ricorso di un dipendente bancario che lamentava un prolungato demansionamento, consistente nell’assegnazione a mansioni di sportello, palesemente inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte e coerenti con il livello di inquadramento posseduto.

I giudici di merito avevano riconosciuto l’illegittimità del demansionamento e liquidato un danno patrimoniale alla professionalità, nonché un danno biologico accertato tramite consulenza medico-legale. Tuttavia, pur dando atto della sussistenza di una sofferenza interiore patita dal lavoratore, avevano ricondotto anche il danno morale all’interno di una liquidazione complessiva e indistinta.

La Suprema Corte afferma con chiarezza che il danno morale non può essere assorbito né dal danno patrimoniale né da quello biologico, ma deve formare oggetto di separata valutazione e autonoma liquidazione, ove dedotto e provato.

In un passaggio particolarmente significativo, la Corte ribadisce che: “Il danno morale consiste in uno stato d’animo di sofferenza interiore del tutto prescindente dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato ed è insuscettibile di accertamento medico-legale; sicché, ove dedotto e provato, deve formare oggetto di separata valutazione ed autonoma liquidazione.”

Si tratta di un principio già affermato in precedenza, ma qui ribadito con forza anche in relazione al demansionamento, dove spesso il danno morale viene impropriamente confuso con il pregiudizio alla professionalità.

La Cassazione richiama, inoltre, il sistema delle tabelle del Tribunale di Milano, oggi largamente utilizzate nella liquidazione del danno non patrimoniale, ricordando che esse prevedono una liquidazione autonoma del danno morale e distinguono chiaramente tra danno biologico, danno morale e danno dinamico-relazionale.

Da ciò discende un corollario logico: se il danno morale è autonomo all’interno del danno non patrimoniale, lo è a maggior ragione quando concorre con un danno patrimoniale, come quello alla professionalità derivante dal demansionamento.

La Corte censura, inoltre, la decisione di merito per non aver liquidato il danno esistenziale o relazionale, nonostante fosse stato accertato in fatto che la dequalificazione aveva inciso negativamente sulla reputazione professionale del lavoratore all’interno dell’ambiente di lavoro.

Secondo la Cassazione, una volta accertato il pregiudizio alle relazioni professionali e sociali del dipendente, il giudice non può negarne la risarcibilità, dovendo procedere a una specifica e motivata liquidazione, distinta dalle altre voci di danno.

Foto di Andrea Piacquadio da Pexels