Con l’ordinanza interlocutoria n. 1788 del 17 gennaio 2024, la Quarta Sezione civile della Suprema Corte di Cassazione si è rivolta alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per chiarire se al lavoratore che si prende cura (il cosiddetto caregiver) di un familiare minore con disabilità grave vada riconosciuta la medesima tutela contro le discriminazioni indirette spettante al disabile stesso qualora fosse un lavoratore.
Nell’ipotesi in cui detta tutela vada garantita, la Corte di Giustizia dovrà anche stabilire se il datore di lavoro deve adottare soluzioni ragionevoli per assicurare la parità di trattamento del caregiver e quale sia la definizione di quest’ultimo, cioè se è “qualunque soggetto, appartenente alla cerchia familiare o convivente di fatto, che si prenda cura in un ambito domestico, pure informalmente, in via gratuita, quantitativamente significativa, esclusiva, continuativa e di lunga durata di una persona che, in ragione della propria grave disabilità, non sia assolutamente autosufficiente nello svolgimento degli atti quotidiani della vita”.
La Corte di Giustizia, si legge nell’ordinanza, dovrà altresì chiarire “se il diritto dell’Unione europea vada interpretato nel senso che la definizione di caregiver in questione sia più ampia o ancora più ristretta”.
La vicenda alla base del rinvio riguarda una lavoratrice del comparto pubblico, nella qualità di caregiver del figlio minore, convivente e gravemente disabile in quanto invalido al 100%, che ha chiesto l’accertamento del carattere discriminatorio del comportamento tenuto nei suoi riguardi da ATAC S.p.a., suo datore di lavoro, nonché di essere stabilmente assegnata ad un turno fisso dalle 8.30 alle 15.00 (o, comunque, compatibile con le esigenze del detto figlio), adottando un piano di rimozione delle discriminazioni e la condanna al risarcimento del danno.
Secondo il giudice d’Appello, il caregiver potrebbe beneficiare della stessa tutela prevista per il disabile sui luoghi di lavoro dalla direttiva 2000/78/Ce.
Tuttavia, i giudici della Corte di Cassazione hanno rilevato che tale direttiva, come interpretata dalla sentenza Coleman C-303/06 della Corte Ue, potrebbe essere applicata al caregiver unicamente per le discriminazioni dirette, escludendo così quelle indirette. Questo in ragione del fatto che la sentenza stabilisce che “viola il divieto di discriminazione diretta, contenuto nell’articolo 2, numero 2, lettera a) della direttiva, trattare in modo differente dagli altri un lavoratore a causa della disabilità di un figlio a cui presta la parte essenziale delle cure di cui ha bisogno”.
La Suprema Corte ha altresì osservato che, successivamente alla sentenza, è stata adottata la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’UE ed entrata in vigore nel 2011, e che essa “non sembra attribuire rilievo alla distinzione fra discriminazione diretta ed indiretta […] per cui le due forme di discriminazione sarebbero strettamente connesse e non potrebbe esservi una vera tutela antidiscriminatoria sul luogo di lavoro che non le contrasti sempre entrambe”.
Inoltre, rispetto alla sentenza di secondo grado, risalente al 2020, nel 2021 è stata introdotta un’ulteriore previsione normativa, il comma 2-bis dell’art. 25 del D.lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità), in base al quale costituisce discriminazione “ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che in ragione delle esigenze di cura personale o familiare pone il lavoratore in una condizione di svantaggio o limitazione”.
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