Inidoneità fisica del lavoratore e obbligo di repêchage

La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema del repêchage, affermando che in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato per inidoneità fisica o psichica, alla violazione dell’obbligo datoriale di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni consegue la tutela reintegratoria per il lavoratore.

Nel caso di specie, il lavoratore ha impugnato giudizialmente il licenziamento irrogatogli per sopraggiunta inidoneità fisica alla mansione.
La Corte d’Appello ha accolto la domanda, sul presupposto che la società datrice non era riuscita a dimostrare di non poter affidare al ricorrente altre mansioni compatibili con il suo stato di salute.

Pronunciandosi la Cassazione sul punto, con l’ordinanza n. 9937 del 12.04.2024, è stato rilevato preliminarmente che, nell’ipotesi di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta, sul lavoratore non grava alcun onere di indicare nel ricorso le posizioni alternative cui avrebbe potuto essere adibito.

Si legge nell’ordinanza che “in caso di licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica, la violazione dell’obbligo datoriale di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni, cui lo stesso sia idoneo e compatibili con il suo stato di salute, integra l’ipotesi di difetto di giustificazione, suscettibile di reintegrazione (Cassazione n. 26675 del 2018) […]”;

“[…] con la sentenza n. 125 del 2022, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della l. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della l. n. 92 del 2012, limitatamente alla parola “manifesta”, con la conseguenza che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove sia stata accertata la “insussistenza del fatto” – fatto da intendersi nella giurisprudenza consolidata di questa Corte inaugurata da Cassazione n. 10435 del 2018 comprensivo della impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore – va applicata la sanzione reintegratoria, senza che assuma rilevanza la valutazione circa la sussistenza, o meno, di una chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimità del recesso”.

I giudici della Suprema Corte hanno, dunque, precisato e ribadito che il datore di lavoro ha l’onere di provare la sussistenza delle giustificazioni del recesso.

Più nello specifico, per i Giudici di legittimità, grava sulla parte datoriale, provare non solo il sopravvenuto stato di inidoneità del lavoratore e l’impossibilità di adibirlo a mansioni, eventualmente anche inferiori, compatibili con il suo stato di salute, ma anche l’impossibilità di adottare accomodamenti organizzativi ragionevoli.

Infine, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro e ha confermato l’illegittimità del licenziamento impugnato, ritenendo che non sia stata fornita la prova richiesta.

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