Il dipendente pubblico che sia stato assunto tardivamente a causa di un provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione, in via astratta, avrebbe diritto alla ricostruzione giuridica ed economica del rapporto di lavoro: la prima consiste in una retrodatazione dell’assunzione, mediante la quale il lavoratore risulterà dipendente dell’Amministrazione sin dal giorno in cui lo sarebbe stato in assenza del provvedimento illegittimo, con conseguente recupero di quanto gli sarebbe spettato ai fini previdenziali e di avanzamento di carriera; la seconda consente al lavoratore di ottenere le retribuzioni non percepite a causa del ritardo nell’assunzione.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5128 del 22/06/2022, si è pronunciato sul ricorso presentato da un agente di Polizia penitenziaria che, a seguito della vittoria del concorso, aveva intrapreso il periodo di formazione, venendone poi escluso per mancanza dei requisiti di partecipazione. In particolare, il ricorrente non possedeva quelli che, all’epoca (parliamo del 1997), erano i requisiti di moralità e di condotta di cui all’art. 124 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, richiamato dall’art. 26 della L. n. 53 del 1989: l’agente, infatti, aveva familiari coinvolti a diverso titolo in procedimenti penali.
L’interessato aveva impugnato il provvedimento di esclusione, che venne poi annullato dal T.A.R. Lazio con sentenza del 05/08/2000. Di conseguenza, il soggetto in questione veniva riammesso al corso di formazione il 29 settembre 2000 con riserva, sciolta poi mediante l’adozione del decreto di nomina ad agente del corpo di Polizia penitenziaria, con decorrenza giuridica dal 29 settembre 2000 e decorrenza economica a partire dal giorno in cui avrebbe iniziato a prestare servizio.
L’agente aveva poi impugnato il decreto da ultimo citato, poiché in esso non veniva riconosciuta la decorrenza, sia giuridica che economica, del rapporto di lavoro a far data dal settembre 1997.
Avendo il T.A.R. respinto l’istanza di ricostruzione giuridica ed economica della carriera del ricorrente, quest’ultimo si era rivolto al Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato ha accolto esclusivamente la doglianza concernente la ricostruzione giuridica della carriera, seppur non si possa parlare, nel caso di specie, esattamente di ‘ricostruzione’: il giudice di secondo grado ha infatti precisato che solo qualora si sia in presenza di un rapporto di lavoro avviato e poi interrotto o sospeso da parte dell’Amministrazione per mezzo di un provvedimento illegittimo, potrebbe aversi una ricostruzione del rapporto, poiché esisterebbe a monte un rapporto da ricostruire. Nel caso di specie, invece, trattandosi di ritardata nomina, risulta invece legittima una retrodatazione della stessa, con recupero, da parte del lavoratore, delle conseguenze vantaggiose in termini di avanzamenti di carriera.
La medesima retrodatazione non opera, tuttavia, a favore del recupero delle prestazioni previdenziali non riconosciute, dato che esse sono legate indissolubilmente all’effettivo svolgimento del rapporto di lavoro.
Il Consiglio di Stato, al contempo, non ha riconosciuto il diritto alla ricostruzione economica della carriera, ossia non ha ritenuto fondata la richiesta di riconoscimento del diritto a ottenere le retribuzioni non percepite dal 1997 al 2000; il Collegio ha affermato, infatti, che al concetto di retribuzione è inevitabilmente sotteso un sinallagma: vale a dire, alla prestazione retributiva deve sempre corrispondere una prestazione lavorativa.
Citando la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il Collegio ha precisato ancora che l’azione di recupero dei crediti retributivi ha natura contrattuale: dunque, affinché possa essere esercitata, è necessaria, alla base, una relazione contrattuale.
L’unica strada percorribile per ottenere le pretese somme è la richiesta di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.; e, per l’appunto, il ricorrente, nell’atto di impugnazione della sentenza di primo grado, aveva richiesto subordinatamente il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni causati dalla ritardata assunzione.
Tuttavia, nel caso di specie, il Consiglio di Stato non ha ritenuto fondata neanche questa richiesta.
Il giudice di secondo grado ha avallato la ricostruzione del T.A.R. secondo cui l’errore commesso dal Ministero della Giustizia è da reputarsi scusabile, e l’ha motivata illustrando le evoluzioni normative che si stavano producendo al tempo in cui veniva adottato il provvedimento di esclusione del ricorrente.
Come anticipato, l’art. 124 del R.D. n. 12 del 1941 disciplinava l’ammissione al concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria richiedendo requisiti di moralità e condotta incensurabili e l’appartenenza a famiglia di estimazione morale indiscussa; tale disposizione veniva richiamata dalla L. 53/1989, ossia la normativa concernente la Polizia di Stato, la Polizia penitenziaria e il Corpo forestale dello Stato: queste due norme sono state dichiarate incostituzionali con sentenza della Corte n. 108/1994. Tuttavia, l’art. 6 D.lgs. 17 novembre 1997, n. 398 ha sostituito il terzo comma dell’art. 124 R.D. n. 12 del 1941 imponendo, ai fini dell’ammissione ai corpi di Polizia, il requisito dell’insussistenza di legami di parentela con persone condannate per uno dei delitti previsti all’art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p. Considerato il quadro normativo in continua trasformazione, secondo il Consiglio di Stato, è comprensibile che la condotta del Ministero della Giustizia, alla data di esclusione dell’agente dal corso di formazione, fosse ancora influenzata dal contesto del tempo. Seppur, naturalmente, tale argomento non possa escludere l’illegittimità del provvedimento, quantomeno vale a sostegno della scusabilità dell’errore e, conseguentemente, dell’insussistenza dell’elemento di colpevolezza alla base della responsabilità extracontrattuale.