La normativa in materia di sicurezza sul posto di lavoro, di cui al D.Lgs. n. 81/2008, impone una lunga serie di obblighi in capo al datore, con riferimento a tematiche quali la predisposizione dei dispositivi di protezione individuale, la gestione delle emergenze, la valutazione dei rischi e la sorveglianza sanitaria.
La particolare ampiezza degli obblighi ricadenti sull’imprenditore in materia di tutela della salute dei lavoratori è testimoniata dall’art. 2087 del codice civile, il quale richiede al datore di lavoro di predisporre tutte le misure adatte a tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore che siano suggerite dalle conoscenze sperimentali e tecniche o da standard di sicurezza normalmente osservati, anche qualora non siano espressamente contemplate nella normativa antinfortunistica.
Parallelamente, anche al lavoratore sono imposti determinati obblighi, oltre a un generale dovere di collaborazione: ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. 81/2008, il lavoratore è tenuto, in particolare, a partecipare ai programmi di formazione organizzati dal datore di lavoro, fondamentali al fine di apprendere le buone pratiche in materia di sicurezza e, dunque, di dare il proprio contributo per la conservazione di un ambiente di lavoro salubre.
Oggetto della recente sentenza della Corte di Cassazione civile n. 20259 del 14/07/2023 è il licenziamento di un lavoratore, impegnato in regime di part-time, che si era rifiutato di completare il corso di formazione sulla sicurezza fuori dall’orario di lavoro previsto dal contratto. Il licenziamento era stato comminato per giustificato motivo oggettivo, in quanto il lavoratore non formato, ossia che non ha ricevuto informazioni basilari circa la sicurezza e la salute sul lavoro, è oggettivamente inidoneo a svolgere qualsiasi prestazione lavorativa.
Il dipendente sosteneva che, essendo in regime di part-time, aveva tutto il diritto di rifiutarsi di partecipare al corso di formazione, in quanto il D.Lgs. n. 81/2008 prevede che la formazione dei lavoratori sia svolta durante l’orario di lavoro e senza oneri economici per il lavoratore; dunque, l’impresa non avrebbe potuto pretendere lo svolgimento della formazione al di fuori dell’orario concordato.
La Cassazione, tuttavia, offre un’interpretazione diversa dell’espressione “orario di lavoro”. La Corte muove dalla definizione offerta dalla Legge n. 66/2003, secondo la quale orario di lavoro è qualsiasi periodo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro; trattasi di una definizione particolarmente ampia, comprendente anche il lavoro straordinario. Aggiunge la Corte che lo stesso D.Lgs. n. 81/2008, nella misura in cui prevede che la formazione debba essere organizzata senza che si impongano oneri economici al lavoratore, riconosce che i corsi possono svolgersi al di fuori dell’orario normale di lavoro, salve le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario. In particolare, il datore di lavoro, in assenza di previsioni da parte del contratto collettivo circa il lavoro supplementare, potrà richiedere prestazioni supplementari nei limiti del 25 per cento delle ore settimanali concordate; il lavoratore potrà rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare solo qualora sussistano esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.
Nel caso di specie, non solo le ore utili per completare il corso di formazione non avrebbero superato il 25 per cento delle ore settimanali in cui era impegnato il lavoratore, ma quest’ultimo, rifiutandosi di completare la formazione, non aveva avanzato alcuna esigenza giustificativa.
Il licenziamento comminato al lavoratore è dunque da considerarsi legittimo, anche considerata la particolare rilevanza della formazione al fine di tutelare l’intera comunità dei lavoratori e i terzi che entrino in contatto con l’ambiente di lavoro; infatti, rispetto a tale interesse, quello del lavoratore a ricevere la formazione durante l’orario normale di lavoro non potrà che essere tutelato in misura minore.
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