Con sentenza n. 22819/2021 la Corte di Cassazione ha stabilito la legittimità di un licenziamento disciplinare irrogato ad una dipendente che era rimasta assente ingiustificata dopo un lungo periodo di malattia, ritenendo di dover essere preventivamente sottoposta a visita medica di idoneità.
Sul punto, la Corte ha confermato che la visita medica prevista dall’art. 41, comma 2 lett. e-ter) del D. Lgs. 81/2008 dopo un periodo di malattia superiore a sessanta giorni, pur essendo obbligatoria, non costituisce la “conditio sine qua non” del rientro in servizio, incombendo sul lavoratore l’obbligo di presentarsi immediatamente sul posto di lavoro cessato lo stato di malattia.
Nel caso di specie, una lavoratrice, all’esito di una visita medica era stata dichiarata temporaneamente inidonea alle mansioni di capotreno. Successivamente ad un periodo di malattia, riceveva comunicazione dal datore di lavoro circa l’imminente scadenza del periodo di comporto e l’invito ad usufruire, qualora ve ne fosse stata l’esigenza, di un periodo di aspettativa di 12 mesi. Dopo aver fruito del periodo di aspettativa, era invitata a presentarsi sul luogo di lavoro, per poi essere sottoposta nei giorni successivi a visita medica, ma non si recava in azienda e non adduceva alcuna giustificazione al riguardo. Pertanto, il datore di lavoro, dopo averle contestato l’assenza ingiustificata, procedeva ad irrogarle la sanzione espulsiva del licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Impugnato il licenziamento, la domanda della lavoratrice era respinta dal Tribunale tanto nella fase sommaria che in quella di opposizione ex L. 92/2012. Stessa sorte subiva il reclamo proposto dalla stessa in Corte di Appello di Roma, che confermava la legittimità del licenziamento. In particolare, la dipendente deduceva che non avrebbe potuto riprendere l’attività lavorativa senza essere sottoposta, in via preventiva, a visita medica ex art. 41, comma 2 lett. e-ter) del D. Lgs. 81/2008. Tuttavia, i giudici di appello rilevavano che tale visita non costituisse una “condicio iuris alla ripresa dell’attività lavorativa e che la stessa andava attivata su iniziativa datoriale e non del lavoratore”. Dunque, il rifiuto della dipendente di riprendere l’attività lavorativa integrava un’assenza ingiustificata che legittimava la sanzione espulsiva.
Avverso la decisione della Corte di Appello, la lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione, cui resisteva il datore di lavoro con controricorso.
Sul punto, la Corte, nel richiamare un precedente analogo, ha ribadito che la norma dell’art. 41, comma 2 lett. e-ter) D. Lgs. 81/2008 va letta tenendo conto sia del significato letterale, sia della finalità per la quale è posta. Pertanto, la “ripresa del lavoro” si configura nella “concreta assegnazione” alle stesse mansioni svolte in precedenza dal lavoratore che faccia rientro in azienda dopo un periodo di malattia protrattosi per oltre 60 giorni consecutivi. Dunque, la verifica dell’idoneità riguarda tali mansioni e la finalità è quella di accertare che il lavoratore possieda l’integrità psicofisica per svolgerle.
Pertanto, ove il lavoratore sia nuovamente destinato alle stesse mansioni assegnategli prima dell’inizio del periodo di assenza, può astenersi ex art. 1460 cod. civ. dall’eseguire la prestazione dovuta, posto che l’effettuazione della visita medica prevista dalla norma si colloca all’interno del fondamentale obbligo imprenditoriale di predisporre e attuare le misure necessarie a tutelare l’incolumità e la salute del prestatore di lavoro, secondo le previsioni della normativa specifica di prevenzione e dell’art. 2087 cod. civ.
Situazione diversa sii verifica quando, invece, il lavoratore rifiuti preventivamente anche di ripresentarsi in azienda, poiché non è consentito al prestatore di lavoro di astenersi anche dalla presentazione sul posto di lavoro, una volta venuto meno il titolo giustificativo della sua assenza. Tale presentazione è da considerarsi, infatti, momento distinto dall’assegnazione alle mansioni, in quanto diretta a ridare concreta operatività al rapporto e ben potendo comunque il datore di lavoro, nell’esercizio dei suoi poteri, disporre, quanto meno in via provvisoria e in attesa dell’espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all’interno della organizzazione di impresa.
La Corte ha, dunque, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
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