La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23747 del 4 settembre 2024, ha affrontato un importante caso in materia di licenziamento per giusta causa, chiarendo che lo svolgimento di attività lavorative durante un periodo di malattia non costituisce di per sé una violazione disciplinare tale da giustificare il licenziamento. Secondo la Corte, il licenziamento è legittimo solo se l’attività svolta è idonea a ritardare o pregiudicare il recupero e il rientro in servizio del lavoratore.
Il caso ha riguardato un dipendente della società Fincalabra Spa, che, mentre era assente dal lavoro per infortunio, è stato visto svolgere attività lavorative presso il bar di sua proprietà. L’azienda ha contestato al dipendente di aver svolto attività fisiche che, secondo i datori di lavoro, compromettevano il suo processo di guarigione. Nello specifico, il lavoratore era stato filmato da una telecamera posta davanti al suo bar mentre svolgeva operazioni come spostare tavoli e sedie, sollevare scatole e aprire la serranda del locale.
La società ha licenziato il dipendente per giusta causa, ritenendo che tali attività fossero incompatibili con lo stato di infortunio e che avessero messo a rischio la guarigione e il successivo rientro al lavoro. Tuttavia, il dipendente ha impugnato il licenziamento, sostenendo che le attività svolte non erano tali da compromettere il suo recupero fisico.
Il Tribunale di Cosenza ha dichiarato illegittimo il licenziamento, accogliendo la tesi del lavoratore. In particolare, il giudice ha ritenuto che le attività svolte da quest’ultimo fossero sporadiche e non idonee a compromettere la sua guarigione, soprattutto considerando che erano state svolte a distanza di circa sette mesi dall’infortunio. La sentenza è stata confermata anche dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che ha sottolineato l’onere del datore di lavoro di dimostrare che l’attività svolta dal dipendente fosse tale da mettere a rischio la sua guarigione.
In seguito a ciò, la società ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che il giudice di merito non avesse tenuto conto della gravità delle attività svolte dal lavoratore e che fosse stata trascurata la documentazione medica che confermava l’inabilità assoluta del dipendente per svolgere attività fisiche.
Inoltre, la società ha contestato la decisione di disporre la reintegrazione del lavoratore, ritenendo che le attività svolte fossero sufficientemente gravi da giustificare il licenziamento. In particolare, i datori di lavoro hanno sottolineato che lo svolgimento di attività lavorative, anche se limitate, durante un periodo di malattia configura una violazione degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione della Corte d’Appello di Catanzaro. Secondo la Suprema Corte, lo svolgimento di attività lavorative durante il periodo di malattia non costituisce di per sé una giusta causa di licenziamento. Per giustificare il licenziamento, il datore di lavoro deve dimostrare che tali attività siano idonee a ritardare o pregiudicare il recupero del lavoratore, o che la malattia sia simulata.
Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che le attività svolte dal dipendente – come spostare sedie, tavolini e scatole di cartone – fossero limitate e non tali da compromettere il recupero. Inoltre, tali attività erano state svolte a pochi giorni dal termine del periodo di inabilità diagnosticato, e quindi non potevano essere considerate rilevanti ai fini del licenziamento.
Questa sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio importante in materia di licenziamento per giusta causa durante il periodo di malattia: il semplice svolgimento di attività fisiche o lavorative non costituisce automaticamente una violazione disciplinare. Il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare che l’attività in questione abbia effettivamente compromesso la guarigione o il rientro in servizio del dipendente.
La decisione ha importanti implicazioni per la gestione dei rapporti di lavoro. Da un lato, i datori di lavoro devono essere cauti nel prendere decisioni di licenziamento basate su attività svolte durante il periodo di malattia, poiché non tutte le attività sono sufficientemente gravi da giustificare il recesso. Dall’altro, i lavoratori devono essere consapevoli che lo svolgimento di attività lavorative o fisiche durante il periodo di malattia può essere scrutinato, ma che non sempre comporta automaticamente una violazione contrattuale.