LICENZIATO IL DIPENDENTE CHE PUBBLICA POST SUI SOCIAL NETWORK MENTRE È ALLA GUIDA DI AUTOMEZZI AZIENDALI

Il Tribunale di Cosenza con ordinanza del 09/10/2021 ha stabilito che è legittimo il licenziamento del lavoratore che utilizzi il proprio profilo Facebook mentre è alla guida di automezzi di servizio, in quanto la condotta posta in essere viola le regole minimali di prudenza, a nulla valendo la mancata affissione del codice disciplinare in azienda.

Nel caso di specie, un dipendente conveniva la Società datrice di lavoro innanzi al Tribunale di Cosenza, impugnando il licenziamento per giusta causa, intimato a seguito dell’utilizzo dei social media mentre era alla guida di un automezzo aziendale. Il ricorrente deduceva l’insussistenza dei fatti contestati, lamentando oltre al difetto di proporzionalità tra sanzione e addebito e all’inosservanza del rito speciale previsto dagli artt. 53 e 54 del R.D. n. 148/1931, anche la mancata affissione del codice disciplinare in azienda.

La Società convenuta, costituitasi in giudizio, eccepiva la decadenza dell’impugnazione in quanto non effettuata in modo rituale, chiedendo comunque il rigetto del ricorso per infondatezza nel merito.

Il giudice di prime cure, stante l’introduzione del giudizio ex art. 414 c.p.c., disponeva il mutamento del rito in quello previsto dalla Legge n. 92/2012.

Il Tribunale, nel richiamare la giurisprudenza di legittimità, precisava che il lavoratore licenziato non può rinunciare al procedimento ex Legge n. 92/2012, avendo quest’ultimo carattere obbligatorio, rientrando tra i poteri esclusivi del giudice quello di procedere all’individuazione del rito applicabile e non incombendo sul dipendente un onere di specifica allegazione relativa al requisito dimensionale, stante la natura sommaria della prima fase del procedimento.

Inoltre, essendo la domanda principale del ricorrente volta ad ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro ed essendo stato esplicito il riferimento all’art. 18 L. 300/1970, nessun dubbio poteva sussistere sulla natura del giudizio e sulla doverosità del mutamento del rito.

Il giudice riteneva inoltre infondata l’eccezione di decadenza proposta dalla Società per essere l’impugnazione stragiudiziale del recesso avvenuta tramite PEC per mezzo di un documento non firmato dal ricorrente di proprio pugno. Sul punto, ravvisava l’idoneità del documento ad interrompere il termine di decadenza, con ciò richiamando quanto statuito dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 1444/2019, secondo cui il difensore ha, previa procura speciale regolarmente conferita,  il potere di impugnare il licenziamento nell’interesse del proprio assistito.

L’organo giudicante riteneva, altresì, inapplicabile il rito speciale previsto dagli artt. 53 e 54 del R.D. n. 148/1931, atteso che la Società convenuta non soddisfaceva il requisito dimensionale previsto dalla suddetta normativa.

In merito all’asserita invalidità del recesso dovuta alla mancata affissione del codice disciplinare, il Tribunale, ponendosi in una linea continuità con un consolidato orientamento giurisprudenziale, riteneva che “ai fini della validità del licenziamento intimato per ragioni disciplinari non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare, in presenza della violazione di norme di legge e comunque di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione”.

Nel caso di specie, il licenziamento è stato intimato al ricorrente per violazione dei doveri fondamentali del lavoratore, avendo quest’ultimo utilizzato i social media mentre era alla guida dell’automezzo di servizio, generando una situazione di pericolo.

La contestazione disciplinare, effettuata nei confronti del dipendente, evidenziava in effetti una condotta integrante una grave violazione delle regole basilari di prudenza, connotata da “un elevato grado di colpa”. A tal riguardo, la mancata affissione del codice disciplinare in azienda non poteva rilevare ai fini della validità del licenziamento, non essendo necessaria, per violazioni siffatte una specifica previsione in termini di illecito disciplinare, pretendendosi un grado massimo di attenzione da chi si pone alla guida di un automezzo, avendo il dovere non solo di garantire la sicurezza della circolazione stradale ma anche di proteggere gli utenti del servizio.

Il Tribunale, rigettando il ricorso proposto dal lavoratore, riteneva pertanto sussistenti i fatti addebitati, ravvisando la legittimità e proporzionalità della sanzione espulsiva.

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