La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 19932 del 21 giugno 2022, ha confermato la decisione dei giudici di merito di dichiarare la risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui. Nel caso di specie, il promittente venditore si era impegnato a trasferire la proprietà di un locale ad uso garage con annessa grotta, previa sdemanializzazione di quest’ultima.
Prima di riportare i fatti principali e per meglio comprendere le argomentazioni della Corte, è opportuno accennare brevemente ai diversi istituti giuridici che vengono in rilievo nel caso in esame.
Il contratto preliminare è quel contratto con le quali le parti si vincolano a stipulare, entro un dato termine, un contratto definitivo. Viene stipulato quando le parti si trovano già d’accordo sugli elementi essenziali del futuro contratto, ma vogliano differirne nel tempo la concreta operatività. In un caso come quello di specie, la ragione pratica della stipula del preliminare di vendita si rinviene nella circostanza che il promittente venditore non aveva ancora acquisito la proprietà della grotta e non poteva quindi trasferirla immediatamente al promissario acquirente.
L’altruità del diritto fa sorgere in capo al venditore l’obbligo di procurare la proprietà della cosa in capo al compratore: l’effetto traslativo in capo al compratore si realizza successivamente al perfezionarsi del contratto, nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare della medesima (art. 1478 c.c.). Nel caso in cui la cosa sia solo parzialmente altrui, il compratore può ottenere la riduzione del prezzo o, nel caso in cui dimostri che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte, può chiedere la risoluzione del contratto, fatto comunque salvo il diritto al risarcimento del danno (1480 c.c.)
Proprio in tema di risoluzione del contratto, la legge stabilisce che il contraente non inadempiente possa risolvere il contratto solamente nel caso in cui l’inadempimento non sia di scarsa importanza (1455 c.c.). Una volta proposta in giudizio domanda di risoluzione, non può più chiedersi l’adempimento della prestazione e l’altra parte non può più adempiere (1453 c.c.). Nel caso in cui, invece, la prestazione di una parte sia divenuta parzialmente impossibile, l’altro contraente può chiedere una corrispondente riduzione del prezzo ovvero recedere dal contratto qualora non abbia interesse ad ottenere un adempimento parziale (1464 c.c.).
Richiamate queste nozioni teoriche, si può agevolmente proseguire con l’analisi del caso di specie.
Il preliminare firmato dalle parti fissava un termine di due anni per la stipula del contratto definitivo. A tal fine, tre giorni prima della scadenza, il promissario acquirente convocava innanzi al notaio l’altro contraente, ma, in tale sede, non si riusciva ad addivenire alla stipula del definitivo a causa dell’omessa produzione, da parte del promissario venditore, dei documenti necessari per il trasferimento della proprietà.
Successivamente al termine di cui sopra, il promissario acquirente domandava in giudizio la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni. Tale domanda veniva accolta in primo grado; la pronuncia di accoglimento confermata in appello.
Con il ricorso in Cassazione, il promittente venditore prospettava la violazione da parte della Corte territoriale delle norme in tema di risoluzione del contratto e di vendita di cose parzialmente altrui.
In particolare, il ricorrente sosteneva che la richiesta di controparte di procedere alla stipulazione del definitivo, in un momento antecedente al termine fissato dal preliminare, gli avesse impedito di adempiere alla propria obbligazione. I giudici della Suprema Corte hanno respinto nettamente tale argomentazione, chiarendo come solo la domanda di risoluzione in via giudiziale possa avere l’effetto di impedire l’adempimento dell’altro contraente.
Nel confutare le ulteriori censure mosse dal ricorrente, i giudici di legittimità hanno evidenziato che era stato accertato che il promittente venditore non avesse provveduto ad acquistare la grotta annessa al garage per causa a lui imputabile, non avendo svolto le attività prescritte per la sdemanializzazione.
Tale comportamento integrava un grave inadempimento contrattuale tale da legittimare la risoluzione.
A giudizio della Corte, inoltre, la gravità dell’inadempimento e l’aver proposto domanda di risoluzione rendevano manifesto il disinteresse del creditore a chiedere una riduzione del prezzo ed ottenere quindi un adempimento parziale (acquisto del solo garage).
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.
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