Riders: la Cassazione rafforza la tutela da subordinazione

Negli ultimi anni il tema dell’inquadramento giuridico dei riders è stato al centro di un acceso dibattito normativo e giurisprudenziale, oscillando tra qualificazione autonoma, collaborazioni etero-organizzate e vera e propria subordinazione.

Con la sentenza n. 28772 del 31 ottobre 2025, la Corte di Cassazione torna a tracciare un solco significativo, rafforzando ulteriormente il perimetro delle tutele riservate a chi opera attraverso piattaforme digitali per la consegna su due ruote.

Il principio cardine ribadito dalla Suprema Corte è chiaro: “non è la forma contrattuale scelta dalle parti a determinare la natura del rapporto, bensì le concrete modalità della prestazione e l’effettivo esercizio dei poteri tipici datoriali. L’utilizzo della bicicletta o di un mezzo proprio, infatti, non costituisce più un elemento idoneo a sottrarre l’attività da schema del lavoro subordinato o assimilabile, in quanto ciò che rileva è il grado di inserimento funzionale del rider nell’organizzazione del committente e la capacità dello stesso di incidere su tempi, luoghi e modalità della prestazione.

La Corte afferma in modo incisivo che “l’uso di un mezzo di trasporto di proprietà del lavoratore non implica di per sé autonomia, laddove la piattaforma eserciti un potere di etero-direzione e di controllo idoneo a conformare la prestazione secondo schemi aziendali predeterminati”. Viene così superata una delle principali difese spesso utilizzate dalle piattaforme per sostenere la natura autonoma della prestazione, basata sul presunto margine di autogestione tecnica del lavoratore.

L’elemento realmente discriminante è il controllo esercitato attraverso il sistema algoritmico che — come evidenziato dagli Ermellini — può integrare una forma moderna di potere direttivo e disciplinare, specie quando incide sulle opportunità di lavoro, sull’accesso agli slot più remunerativi o sulla stessa possibilità di permanere nella piattaforma.

Particolare rilievo assume il passaggio della sentenza in cui la Corte riconosce che “la modulazione dei punteggi reputazionali e l’assegnazione selettiva delle consegne costituiscono strumenti idonei a esercitare un potere sanzionatorio atipico, ma sostanzialmente equivalente a quello proprio del datore di lavoro”. Tale approdo, lungi dall’essere isolato, si inserisce nel percorso evolutivo già avviato negli anni precedenti con l’applicazione dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 e conferma una tendenza ormai consolidata: le collaborazioni dei riders, pur se formalmente autonome, comportano l’estensione di gran parte delle tutele del lavoro subordinato, inclusi contributi, ferie e sicurezza sul lavoro, quando ricorrono i presupposti della etero-organizzazione.

La pronuncia si colloca, inoltre, in linea con gli orientamenti europei, anticipando gli effetti della direttiva UE sul lavoro tramite piattaforma, che introduce una presunzione legale di subordinazione quando la piattaforma soddisfa determinati indici di controllo digitale.

La sentenza non si limita a qualificare il rapporto, ma suggerisce indirettamente nuovi standard di compliance: maggiore trasparenza degli algoritmi, tracciabilità delle decisioni automatizzate, politiche chiare in materia di ranking e un sistema di gestione dei dati che rispetti i principi del GDPR.

A tal fine, le piattaforme e le imprese che impiegano riders sono chiamate a scegliere consapevolmente il modello di inquadramento, evitando soluzioni ibride che possano essere facilmente disconosciute in sede ispettiva o giudiziale.

Una corretta pianificazione giuslavoristica diviene quindi essenziale per prevenire contenziosi, sanzioni e riclassificazioni retroattive, oltre che per costruire un rapporto di lavoro realmente sostenibile e conforme alle evoluzioni normative.

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