Il diritto di sciopero è espressamente riconosciuto dalla Costituzione, anche se quest’ultima non dà indicazioni precise a riguardo: infatti, l’art. 40 della Costituzione afferma solamente che “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.
Dato che, a parte quella sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, nessuna legge è stata mai emanata in materia di sciopero, secondo la giurisprudenza esso va esercitato in modo da non ledere altri diritti fondamentali, tra cui quelli all’incolumità personale e alla libertà imprenditoriale.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6787 del 14 marzo 2024, ha sottolineato più precisamente cosa possono e non possono fare i lavoratori nel contesto di uno sciopero.
Il caso portato innanzi alla Corte riguardava sedici lavoratori licenziati poiché avevano più volte scioperato, indetto manifestazioni di protesta e svolto prestazione lavorativa rallentata; il tutto, a detta dell’azienda, illegittimamente.
La Corte richiama, dunque, i principi stabiliti dalla giurisprudenza in materia di sciopero.
In primo luogo, non è necessario che lo sciopero venga comunicato al datore di lavoro, né che venga proclamato formalmente. Il datore di lavoro, infatti, non ha la possibilità di valutare l’eventuale fondatezza, ragionevolezza e importanza delle pretese dei lavoratori.
In più, nell’ambito di un eventuale conflitto tra azienda e lavoratori o tra diverse sigle sindacali, il datore di lavoro deve assumere un atteggiamento di neutralità.
Data l’assenza di leggi in materia, il diritto di sciopero deve esercitarsi secondo i limiti dettati dal suo scopo storico-sociale: per cui, da un lato, si ha sciopero solo in presenza di un’astensione dal lavoro decisa e attuata collettivamente per la tutela di interessi dei lavoratori, anche non riguardanti il salario e anche di carattere politico, purché incidenti sui rapporti di lavoro.
Dall’altro lato, il diritto di sciopero non può essere esercitato con modalità delittuose, dunque lesive della libertà personale e del diritto di proprietà; è invece normale che lo sciopero impedisca o riduca la produzione aziendale, ma non potrà recare danno alla produttività aziendale, ossia alla possibilità per l’imprenditore di continuare a svolgere la sua attività: ciò avviene, ad esempio, qualora vengano danneggiati i beni aziendali.
Nel caso di specie, i sedici lavoratori licenziati avevano chiesto invano al datore di lavoro di trasferire un dipendente appartenente ad altra sigla sindacale poiché ritenuto responsabile di aggressione e porto di tirapugni sul luogo di lavoro. Una richiesta legittima, in quanto riconducibile al generale obbligo del datore di lavoro, in base all’art. 2087 c.c., di garantire l’incolumità psico-fisica dei lavoratori.
Le motivazioni alla base dello sciopero erano dunque ragionevoli, e i danneggiamenti lamentati dal datore di lavoro, oltre che non provati, non erano imputabili indiscriminatamente a tutti i lavoratori. Per tali ragioni, i licenziamenti intimati sono da considerarsi illegittimi.
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