Sezioni Unite: l’incentivo all’esodo non spetta al coniuge divorziato

L’indennità di incentivo all’esodo non rientra nell’assegno che spetta all’ex coniuge. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6229 del 07.03.2024, hanno definito il perimetro degli importi che per legge (art. 12-bis L. n. 898/1970) vanno riconosciuti al coniuge titolare di un assegno divorzile, quale “quota del trattamento di fine rapporto” dell’altro coniuge, affermando che “l’indennità di incentivo all’esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro” è esclusa da questa ripartizione.

La questione è giunta alle Sezioni Unite per l’esistenza di pronunce contrastanti, sulla spettanza della quota.

La soluzione è stata l’esclusione di questa “indennità” dal novero delle somme che costituiscono l’indennità di fine rapporto. I giudici di legittimità, infatti, hanno seguito un articolato percorso che prende le mosse dall’analisi delle pronunce che hanno stabilito uno “spartiacque tra ciò che il coniuge beneficiario dell’assegno di divorzio può pretendere e ciò che, lo stesso, non può, invece, pretendere a mente dell’articolo 12-bis L. n. 898/1970”.

Le Sezioni Unite hanno osservato come siano previste come estranee “le prestazioni private di natura previdenziale e assicurativa, come l’indennità di cessazione dal servizio corrisposta ai notai, l’indennità da mancato preavviso per licenziamento in tronco e l’indennità percepita a titolo di risarcimento del danno per illegittimo licenziamento, che hanno ad oggetto il ristoro di un danno le cui conseguenze si sviluppano de futuro, mentre l’indennità di fine rapporto opera de praeterito (del passato), rappresentando parte della retribuzione dovuta al lavoratore”.

I giudici della Suprema Corte hanno concordato nell’individuare come sia “evidentemente estranea all’indicata nozione di indennità di fine rapporto anche l’indennità di incentivo all’esodo” e ciò in quanto tale indennità “non opera quale retribuzione differita, sicché è da escludere la conseguente necessità di farne partecipe il coniuge che di tale retribuzione ha già fruito sotto forma di assegno divorzile”.

I giudici hanno poi chiarito che in effetti “tale indennità non si raccorda ad entità economiche maturate nel corso del rapporto di lavoro, onde non trova fondamento giustificativo l’apprensione di una quota di essa da parte del coniuge che ha diritto alla percezione dell’assegno divorzile”.

Ciò è deducibile dal fatto che l’incentivo all’esodo appare più correttamente come una “attribuzione patrimoniale discendente da un sopravvenuto accordo con cui si remunera il coniuge lavoratore per il prestato consenso all’anticipato scioglimento del rapporto di lavoro”. Il collegio ha in questo modo superato la diversa tesi secondo la quale l’imposizione di un analogo regime di “tassazione separata” – sia del Trattamento di Fine Rapporto che “delle altre indennità e somme” percepite una tantum, in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro – che dovrebbe così uniformare le somme nell’essere comprese come un unicum del Trattamento di Fine Rapporto.

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