I genitori, nell’esercizio della responsabilità genitoriale, stabiliscono di comune accordo la residenza abituale del minore (316 c.c.).
Conseguentemente, il minore non può essere allontanato dal luogo di residenza abituale senza il consenso del genitore che eserciti, di norma congiuntamente con l’altro genitore, la responsabilità genitoriale su di esso.
In proposito, si parla di sottrazione internazionale quando un minore avente la residenza abituale in un determinato Stato viene condotto o trattenuto in altro Stato senza il consenso del soggetto che esercita la responsabilità genitoriale.
La disciplina sulla sottrazione internazionale è contenuta nella Convenzione dell’Aja del 1980, ratificata in Italia con L. n. 64 del 1994, nonché, per gli Stati membri dell’UE, anche dal Regolamento n. 2201/2003, che integra le disposizioni contenute nella Convenzione.
L’art. 3 della Convenzione prescrive che il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito quando avviene in violazione del diritto di affidamento assegnato ad una persona, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro.
Al genitore (o altro soggetto titolare del diritto di affidamento) è riconosciuto il diritto di adire l’autorità giudiziaria del luogo dove si trova il minore per ottenerne l’immediato ritorno.
Per ordinare l’immediato ritorno del minore il giudice deve, innanzitutto, accertarsi quale sia in concreto la residenza abituale del minore, costituendo quest’ultima presupposto della fattispecie sottrattiva.
Sul concetto di residenza abituale, in mancanza di una nozione legale, si deve far riferimento a quanto statuito dalla giurisprudenza interna e comunitaria.
La Cassazione, con sentenza n. 32194 del 2 novembre 2022, pronunciandosi in materia di sottrazione internazionale di minori, ha fornito importanti coordinate giuridiche per l’esatta individuazione della residenza abituale del minore in tenerissima età.
Nel caso di specie, il Tribunale per i minorenni di Sassari aveva emanato un decreto con il quale disponeva il ritorno immediato in Spagna di un minore, nato in tale Stato dall’unione tra un cittadino spagnolo e una cittadina italiana e condotto in Sardegna dalla madre pochi mesi dopo nascita, senza il consenso del padre.
Per il Tribunale, infatti, la residenza abituale del minore doveva individuarsi nel territorio spagnolo, considerato, da un lato, che il minore lì era nato e lì aveva trascorso i primi mesi di vita con entrambi i genitori, anche dopo l’intervenuta cessazione della loro relazione sentimentale, dall’altro, che il padre esercitava effettivamente il diritto di affidamento sul minore.
Avverso tale decreto proponeva ricorso per cassazione la madre del minore, lamentando in particolare:
– la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 della Convenzione dell’Aja, con riferimento alla nozione di “residenza abituale”;
– un vizio motivazionale per omesso esame di fatto storico decisivo, rappresentato sia dalla circostanza che il minore aveva vissuto in Spagna solo per i primi tre mesi della sua vita e che attualmente viveva in Sardegna con la madre avendo relazioni affettive con i nonni materni, nonché dal fatto che la madre, in Sardegna, aveva sia una casa di proprietà che un posto di lavoro.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondate tali censure.
Nella ricostruzione del concetto di residenza abituale, la Corte ha sottolineato come esso rappresenti un criterio di fatto, che prescinde dalle risultanze anagrafiche e che deve essere inteso come il “luogo in cui il minore, grazie anche ad una durevole e stabile permanenza ancorché di fatto, trova e riconosce il baricentro dei suoi legami affettivi”.
La circostanza che la presenza fisica del minore in uno Stato non sia in alcun modo temporanea o occasionale e che anzi denoti una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare, può essere dimostrata da una serie di fattori, quali: la durata, la regolarità, le condizioni e le ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato e del trasloco della famiglia in tale Stato; la cittadinanza del minore; il luogo e le condizioni della frequenza scolastica; le conoscenze linguistiche; nonché le relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato.
Posto che per i minori in tenera età l’ambiente cui fare riferimento è essenzialmente quello familiare, determinato dalle persone di riferimento con le quali il minore vive e che si prendono cura di lui, in un caso come quello di specie (meno di 8 mesi di età, avuto al riguardo al momento della proposizione della domanda) dove l’ infante vive con la madre e dalla quale viene effettivamente accudito, i predetti fattori dovranno essere accertati con riferimento alla madre, valutando l’integrazione di quest’ultima con il suo ambiente sociale e familiare.
La Corte di merito, al fine di accertare la residenza abituale del minore, ha valorizzato esclusivamente parametri “neutri”, rappresentati dal luogo di nascita del minore (Spagna) e dal fatto che lì vi avesse abitato per i primi tre-quattro mesi di vita mantenendo contatti regolari con il padre, mentre non ha tenuto in adeguata considerazione l’asserita assenza di rapporti significativi del minore e della madre con tale Stato.
Per tali ragioni, la Suprema Corte ha cassato con rinvio il decreto impugnato.
Foto di Gustavo Fring