LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE CHE MOLESTA SESSUALMENTE UNA COLLEGA

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Il Tribunale di Verona, con sentenza n. 317/2021, ha riconosciuto la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato al dipendente che con reiterati comportamenti fisici, verbali o non verbali abbia molestato sessualmente una collega. A tal riguardo, è sufficiente che la condotta indesiderata del molestatore abbia raggiunto il solo effetto di violare la dignità della destinataria e di creare un clima degradante, umiliante o offensivo nei suoi confronti.

Nel caso di specie, il dipendente di un’azienda, assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato, aveva posto in essere reiterate condotte di molestia sessuale nei confronti di una collega. I comportamenti contestati si erano concretizzati in biglietti con disegni sessualmente espliciti, apprezzamenti volgari durante l’orario di lavoro, contatti fisici indesiderati. La vittima aveva riferito gli eventi ai suoi colleghi, ma nonostante l’avessero invitata a denunciare il lavoratore, aveva esitato per timore di ripercussioni.

Informato dei fatti, il datore di lavoro, sottoponeva il dipendente a procedimento disciplinare con sospensione cautelare dal servizio, all’esito del quale lo licenziava per giusta causa.

Avverso tale provvedimento, il dipendente adiva il Tribunale di Verona con ricorso ex art. 414 c.p.c., chiedendo l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento e invocando le tutele previste dall’art. 3 del D. Lgs. 23/2015.

Il Tribunale, previa conversione dal rito ordinario al rito speciale ex Legge 92/2012, sentiva nel corso del procedimento la vittima ed alcuni suoi colleghi che confermavano, in modo coerente e dettagliato, i fatti e le dichiarazioni rese in sede disciplinare, evidenziando che a causa delle attenzioni indesiderate, la dipendente si era vista costretta a richiedere il cambio dei turni per evitare di lavorare insieme al collega e, nell’ultimo periodo, si era assentata dal lavoro per malattia fino a rassegnare le dimissioni.

Sul punto, il giudice nel valutare gli elementi di giudizio nel loro complesso, ha ritenuto che costituissero “prova adeguata di fatti disciplinarmente rilevanti che integrano giusta causa di licenziamento”, con ciò richiamando, in relazione alla gravità degli eventi, l’art. 26 del D. Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) e un consolidato orientamento giurisprudenziale, che definisce le molestie sessuali come “comportamenti (espressi in forma fisica, verbale o non verbale) indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità della lavoratrice destinataria e di creare nei suoi confronti un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

Ha inoltre rilevato che tali comportamenti prescindono dall’intenzione soggettiva del loro autore e l’ipotesi di molestia sessuale risulta integrata anche quando sia raggiunto il solo effetto di violare la dignità altrui, non essendo necessario che le molestie generino il timore che le offese verbali o non verbali si traducano in aggressioni fisiche sessuali nei confronti della vittima.

Più in particolare, il Tribunale ha evidenziato che la tutela contro le discriminazioni sessuali si basa tanto sul contenuto oggettivo della condotta, quanto sulla percezione soggettiva della stessa da parte della vittima. Di conseguenza, risulta irrilevante l’intenzione di rivolgere offese o minacce di aggressione sessuale alla collega.

Ad avviso del giudice, la giusta causa posta a base del licenziamento in esame va quindi verificata sul piano della oggettiva condotta di natura sessuale tenuta dal ricorrente, in modo verbale o fisico, indesiderata da parte della destinataria ed oggettivamente idonea a ledere la sua dignità di donna e collega di lavoro.

Lo stesso art. 126 n. 4) del CCNL del Turismo e dei Pubblici Esercizi, applicabile al rapporto di lavoro de quo, ponendosi in un solco di continuità con tale orientamento, dispone che il provvedimento del licenziamento per giusta causa si applichi, tra gli altri, nel caso di gravi atti o comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, anche di tipo verbale, volti a ledere la libertà e la dignità delle persone che li subiscono, comprendendo in essi anche quelle condotte vessatorie o persecutorie.

Il giudice ha infine ricordato che tra i doveri di tutela dei lavoratori in capo al datore di lavoro (art. 2087 c.c.) rientra certamente l’obbligo di garantire un ambiente di lavoro che salvaguardi la salute e la serenità, sia professionale che fisica, dei lavoratori e quello di adottare, in ogni caso, i provvedimenti che risultino idonei a tutelare la loro integrità fisica e personalità morale, tra i quali rientra l’eventuale licenziamento dell’autore delle molestie sessuali (ex multis Cass., Sez. Lav., 22 Marzo 7097/2018, Cass. civ. Sez. lav., 20272/2009, Cass. Civ., sez. Lav., 5049/2000, Cass. Civ, sez. Lav. 7768/1995).

Il Tribunale, rilevata la legittimità del licenziamento per giusta causa, ha disposto dunque il rigetto dell’impugnazione, condannando il ricorrente al rimborso delle spese di lite in favore della società.

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