Il Comune non deve risarcire il pedone che cade sul marciapiede se le sconnessioni sono evidenti e facilmente evitabili

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 38025/2021, ha negato il risarcimento del danno al pedone caduto sul marciapiede sconnesso di una strada comunale.

Determinante la condotta incauta del pedone che, anziché transitare sulla parte restante del ciglio della strada, impegnava la frazione di marciapiede con evidenti sconnessioni e imperfezioni.

Nel merito, la domanda è stata inizialmente rigettata dal Giudice di Pace di Trani e, in seguito, dal Tribunale che ha confermato la decisione di primo grado.

L’interessato ha dunque proposto ricorso per Cassazione, cui non è seguita alcuna attività difensiva del Comune.

Sul punto, la Cassazione ha osservato che la decisione del Tribunale è “conforme ai principi espressi in tema di responsabilità da cose in custodia” previsti a norma degli artt. 2043 e 2051 c.c.

Secondo tali principi, la responsabilità da cose in custodia di cui all’art. 2051 c.c. opera in termini oggettivi, avendo il danneggiato l’onere di provare soltanto il nesso eziologico sussistente tra la cosa in custodia e il danno causato.

Per contro, colui che riveste il ruolo del custode è tenuto a fornire prova liberatoria del caso fortuito. Quest’ultimo, comprensivo anche della condotta imprudente della vittima, è inteso come fattore idoneo ad escludere il nesso causale tra il bene in custodia e il danno, in quanto caratterizzato da imprevedibilità ed inevitabilità, non rilevando in tal caso la diligenza del custode.

Peraltro, le modifiche improvvise che la struttura della cosa subisce con il decorrere del tempo, quali tra le altre, buche o macchie d’olio, si configurano come “nuove intrinseche condizioni della cosa” delle quali il custode è responsabile.

Inoltre, la Suprema Corte ha evidenziato che “le deduzioni di omissioni, violazione di obblighi di legge, di regole tecniche o di regole di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c.” salvo che le stesse non siano finalizzate esclusivamente alla dimostrazione dello stato della cosa e della sua capacità di recare danno, nonché del rapporto causale tra cosa e danno.

Tali principi, ad avviso della Suprema Corte, risultano essere stati correttamente applicati nel caso in esame. Infatti, i giudici di merito, sulla base degli elementi istruttori acquisiti, hanno rilevato che l’infortunio si era verificato esclusivamente a causa dell’incauta condotta del pedone che, pur essendo evidenti le disconnessioni e le imperfezioni del marciapiede, ha percorso il tratto di strada da esse caratterizzato anziché transitare sulla parte restante non sconnessa. Pertanto, la vittima ha violato le normali regole di prudenza e di comune diligenza necessarie al fine di evitare di inciampare e cadere a causa delle anomalie del tratto di strada interessato.

I giudici di legittimità hanno ritenuto trattarsi di “un apprezzamento di fatto sostenuto da adeguata motivazione, non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile”, disponendo il rigetto dell’impugnazione e nulla in merito alle spese.

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