La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 35581/2021, ha statuito che spetta al giudice di merito valutare la congruità del licenziamento del dipendente, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto.
Nel caso di specie, il dipendente di una nota catena di supermercati è stato licenziato per aver prelevato e consumato sul luogo di lavoro cous cous, birra e un prodotto da forno.
Sul punto, la Corte d’Appello di Bologna, in sede di reclamo e in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha ritenuto che la condotta configurasse un atteggiamento passibile di sanzione disciplinare, sia per violazione delle norme del codice disciplinare affisso in bacheca sul divieto di consumare cibi e bevande alcoliche sul posto di lavoro, sia per appropriazione di beni e merci aziendali. Tuttavia, i giudici di secondo grado hanno ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato, ai sensi dell’art. 18, comma 5 L. 300/1970, al dipendente in quanto sproporzionato rispetto all’addebito e per l’effetto hanno condannato l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria.
Avverso tale pronuncia la datrice di lavoro ha proposto ricorso in Cassazione, cui ha resistito il lavoratore con controricorso. La società reagiva con controricorso formulando ricorso incidentale.
Questi i principi espressi dalla Suprema Corte con ordinanza n. 35581/2021.
I giudici di legittimità, in via preliminare, hanno ricordato che le clausole generali come quella contenuta nell’art. 2119 c.c. hanno contenuto aperto che “richiede di essere specificato in via interpretativa, allo scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo”. Pertanto, l’attività di integrazione del precetto normativo è sindacabile in Cassazione a condizione che la contestazione sul merito non sia generica, ma contenga “una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi a valori”.
Al contrario, è il giudice di merito a dover valutare i fatti nella loro materialità e nella misura necessaria alla loro riconducibilità all’ipotesi normativa di giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
Ad avviso della Corte di Cassazione, le parti si sono limitate a contestare la valutazione compiuta dai giudici di secondo grado sul piano fattuale e mediante rinvio alle attività svolte nelle precedenti fasi di giudizio, sottraendo il giudizio al sindacato di legittimità. Infatti, l’impugnazione, non identificando i parametri integrativi del precetto normativo elastico violati dai giudici di merito, risulta priva di una valutazione di incoerenza del giudizio compiuto dalla Corte d’Appello rispetto agli standards conformi ai valori dell’ordinamento. Pertanto, la stessa si traduce in una censura generica e meramente contrappositiva rispetto al giudizio di secondo grado.
Peraltro, essendo molteplici gli elementi da valutare ai fini della sussistenza della giusta causa di recesso, in sede di legittimità occorre riferirsi alla rilevanza dei singoli parametri ed al peso specifico attribuitogli dal giudice del merito. Tale valutazione è necessaria al fine di verificare la coerenza e la ragionevolezza della riconducibilità del complessivo giudizio, come combinazione dei molteplici elementi, alla clausola generale.
Nel caso di specie, i giudici d’appello hanno ritenuto insussistente la lesione del vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro e di un inadempimento così grave da configurare un ipotesi di giustificato motivo soggettivo. Al riguardo, la Corte ha affermato che, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, “rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali”. Pertanto, spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo.
Per tali motivi, la Corte di Cassazione ha disposto il rigetto di tutti i ricorsi presentati, compensando le spese di lite.