LAVORATORE ESCE DALLA PORTA DI EMERGENZA E SCIVOLA: È CONCORSO DI COLPA NELLA CAUSAZIONE DELL’INFORTUNIO

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 36865/2021, ha stabilito che sussiste concorso di colpa del lavoratore danneggiato quando lo stesso abbia intrapreso autonomamente un comportamento imprudente in violazione degli obblighi di diligenza a tutela della propria o altrui incolumità.

Nel caso di specie, una collaboratrice ATA di un Liceo di Vicenza uscendo da una porta di emergenza tramite cui si accede al parcheggio e ove era affisso il cartello di divieto di uscita/entrata, scivolava sul piazzale ghiacciato cadendo.

La Corte di Appello di Venezia, nel confermare la pronuncia del Tribunale di Vicenza, ha condannato il Miur, l’Ufficio VIII di Vicenza e il Liceo statale al pagamento di una somma di denaro a titolo risarcitorio, riconoscendo un concorso di colpa della lavoratrice in misura pari al 30%.

Avverso tale pronuncia, la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, cui ha resistito il Miur con controricorso.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha escluso l’ipotesi di c.d. rischio elettivo idoneo a recidere ogni nesso causale tra attività lavorativa e danno subito in seguito a infortunio sul lavoro. Peraltro, come più volte affermato dalla stessa Corte, l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva in capo al datore di lavoro. Infatti, il lavoratore deve dimostrare la “nocività” dell’ambiente lavorativo, spettando al datore di lavoro fornire la prova di aver adottato tutte le misure cautelari idonee ad impedire l’evento dannoso. La Corte ha chiarito inoltre, che la responsabilità del datore di lavoro si fonda “sulla violazione di norme di comportamento, a protezione della salute del lavoratore, imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, purché concretamente individuati”.

Invero, se la causa dell’evento dannoso deriva dalla mancata adozione da parte del datore di lavoro di norme e misure di prevenzione tali che la loro ricorrenza avrebbe impedito con una significativa probabilità il verificarsi dell’evento, la responsabilità ricade esclusivamente in capo al datore di lavoro, anche nel caso in cui il lavoratore adotti un comportamento non rispettoso delle regole cautelari.

Tuttavia, la Corte ha ritenuto che non possa escludersi un concorso colposo della lavoratrice danneggiata, in quanto l’infortunio è stato frutto di una condotta posta in essere autonomamente, non qualificabile come abnorme, inopinabile ed esorbitante e neppure come risultato “dell’incidenza causale decisiva del solo inadempimento datoriale” ma derivante “dalla indissolubile coesistenza di comportamenti colposi di ambo le parti del rapporto di lavoro”.

I giudici di legittimità hanno in particolare evidenziato come l’inosservanza delle norme di prevenzione e sicurezza da parte del datore di lavoro non sia di per sé incompatibile con il comportamento colposo del lavoratore, in quanto non escluso espressamente dagli artt. 2087 e 1227 c.c.

Peraltro, il lavoratore è obbligato ad osservare i doveri diligenza imposti, a norma dell’art. 2104 c.c., a tutela non solo della propria salute ma anche dell’incolumità altrui. Pertanto, “è indubbia la sussistenza di tratti del sistema prevenzionistico che coinvolgono anche i lavoratori (v. Cass. Pen. 8883 del 2016), così come è scontato che i rapporti interprivati restino regolati anche dal generalissimo principio di autoresponsabilità per le proprie azioni”.

La Corte ha poi precisato che il comportamento imprudente del danneggiato, poiché destinatario dei doveri di protezione da parte del datore di lavoro, può rimanere in alcune ipotesi privo di rilievo giuridico ai fini del risarcimento, pur non potendosi escludere il concorso colposo previsto a norma dell’art. 1227 c.c.

Nel caso di specie, la collaboratrice ATA ha utilizzato la porta di emergenza sui cui era affisso il divieto di uscita/entrata, mentre l’ingresso principale era stato debitamente posto in sicurezza. Inoltre, la pericolosità del luogo era nota alla lavoratrice che avrebbe dovuto scegliere il tragitto da compiere con maggior prudenza, dovendo indossare anche calzature adeguate al periodo climatico.

Alla luce dei suesposti principi, la Corte di Cassazione ha disposto il rigetto del ricorso.

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